martedì 27 settembre 2011

Scienza, fede e sette.




Ho una posizione preordinata contro tutto quello che fa “setta”, anche possiamo disquisire amabilmente su sfumature quali la ribellione, la diversità, la necessità dell’affiliazione e dell’accettazione, della difficoltà fino all’impossibilità di riconoscere se stessi in religioni tradizionali per esempio, e sono tutte spinte e bisogni umani e talvolta positivi, ma anticipatamente io dichiaro che questa conversazione è viziata da una mia presa di posizione (parte preconcetto e parte convinzione).




Altro conflitto di interesse dichiarato aprioristicamente è il bagaglio formativo (non voglio dire culturale giacché so bene di non essere nulla e nessuno) che è quello dello “scienziato”, quello che applica il metodo scientifico.




Tornando all’argomento di interesse. Il fondatore di Scientology, Ron Hubbard (ex scrittore di romanzi pulp e di fantascienza), si era ispirato a opere di Sigmund Freud in molti dei suoi primi libri, e in Dianetics (le cui teorie furono inizialmente pubblicate su Astounding Science Fiction una rivista di fantascienza) si proponeva già all’esordio del libro di dare una nuova tendenza del pensiero e della pratica psicologica e psichiatrica [cfr l’introduzione a Dianetics del medico e consigliere di Dianetics per le questioni a carattere medico di Hubbard dott. Joseph A. Winter, che ruppe i rapporti con lui nel 1951, mentre ricordo che collaborò con Hubbard in veste di recensore lo scrittore di fantascienza Isaac Asimov ]. Queste elaborazioni furono offerte anche in forma di pubblicazioni a riviste di medicina prestigiose [anche ma non solo l’American Journal of Psichiatry] che le rifiutarono. Pubblicità a libri di testo utilizzati in psichiatria compaiono nella prima edizione di Dianetics [Dianetics: The Modern Science of Mental Health]. Quello che appare certo è che l’intenzione originale di Hubbard fosse quella di considerare gli psichiatri contemporanei come utilizzatori di metodi primitivi laddove il metodo da lui illustrato si presentava come metodo recente ed innovativo, e questo è così vero che almeno nelle prime fasi gli scritti Hubbardiani puntano a una non-colpevolizzazione della psichiatria tradizionale. Il lancio di Dianetics ebbe un riscontro di pubblico entusiasmante e diventò uno dei best-sellers in USA, ma anche delle opposizioni su cui indagò perfino l’FBI nel timore che dietro al lancio del libro ci fosse il pericolo rosso, e la forte opposizione della psichiatria tradizionale in virtù della mancanza di evidenza clinica e di plausibilità scientifica. La forte opposizione era dovuta anche al fatto che Dianetics si proponesse come terapia anche di patologie di tipo organico e non solo come strumento di wellness, temendo che l’Autore volesse proporre il trattamento di affezioni mentali e non['asma, la miopia, il daltonismo, le deficienze uditive, la balbuzie, le allergie, la sinusite, l'artrite, l'ipertensione, i problemi coronarici, le dermatiti, l'ulcera, l'emicrania, la congiuntivite, le nausee mattutine, l'alcolismo, il raffreddore e anche la tubercolosi come disturbo psicosomatico] di ogni tipo pur essendo lo strumento privo di evidenze sperimentali, metodologiche, cliniche ed empiriche e il suo propositore fosse privo di qualsiasi formazione . Hubbard parla apertamente di sostituirsi nel giro di pochi anni alla medicina e alla psichiatria in ogni sua funzione. E’ talmente vero che verranno attribuiti al metodo Dianetics 8 guarigioni di leucemia (volendo tratte da questa guarigione il presupposto dell’origine psicosomatica della leucemia stessa) e scrivendo che l’origine della malattia è la traccia mnesica (o engram) della frase "mi fa andare il sangue in acqua”. Hubbard iniziò a proporre dei diplomi di qualifica corrispondenti a quella di “decano” in medicina e ancor di più in psichiatria già nel 1952, pur attribuendosi un alto consenso pure tra illustri esponenti della psichiatria mondiale di cui però non farà mai i nomi. Naturalmente ci furono fior di denunce per esercizio abusivo della professione medica in molti stati USA e a questo punto, per ridurre la responsabilità legale Hubbard diede corpo a Dianetics attraverso la fondazione di Scientology (prima attraverso la Hubbard Association of Scientologist, da cui nacque nel 1954 Scientology) ovvero che la seconda era una religione e come tale svolgeva un’azione positiva sia spirituale che fisica. Questa è tuttora la posizione ufficiale di Scientology ovvero fornire miglioramento spirituale che causa accidentalmente benefici medici. il che le ha consentito di evitare tasse e controlli e di non dover dimostrare i suoi postulati.




Dianetics secondo il suo creatore causa accidentalmente benefici nel 70% delle patologie, e tutt’ora questo è l’orientamento di Scientology, così come a tutt’oggi Scientology ritiene che tutte le critiche abbiano origine da un complotto, che nel 1950 fu definito da Hubbard ad ispirazione comunista, nominato come "Tenyaka Memorial" e successivamente Scientology descritto come movimento antireligioso.




Facendo un salto quantico arriviamo nel 2006 a “Psichiatria: industria di morte”.




Andrew Gunber, giornalista, descrive scrive dopo averla visitata




Si va dalla terribile crudeltà delle istituzioni mentali vittoriane che facevano pagare il biglietto per potere entrare e farsi qualche risata alle spalle degli idioti lì ricoverati, al movimento eugenetico, che ebbe davvero influenze sul nazismo (e sui segregazionisti del Jim Crow South), fino a tutta la storia controversa della terapia elettroconvulsiva e della lobotomia. Al giorno d'oggi si possono sollevare moltissime critiche legittime contro lo smodato potere dell'industria farmaceutica e dei i suoi lobbisti, sull'eccesso di prescrizioni di tranquillanti e modificatori dell'umore come il Prozac o il Ritalin, esiste davvero una casistica documentata di effetti collaterali preoccupanti, a volte letali, che emergono molto dopo che la FDA ha approvato un farmaco, e così via.




E commenta espicitamente:




Ma una cosa è affermare che in campo psichiatrico si sono verificati abusi, un'altra, e ben diversa, è dire che la professione stessa è malvagia. Il museo dell'"Industria della Morte" si spinge ancora un passo oltre sostenendo niente di meno che la psichiatria è responsabile di tutte le malvagità del mondo. È la psichiatria la vera chiave per comprendere Hitler, non il nazionalismo estremo ("nessun uomo nella storia è stato più importante per il sogno psichiatrico di dominazione mondiale..."). È la psichiatria la vera responsabile del collasso degli standard educativi degli Stati Uniti, non la mancanza cronica di fondi; ed è colpevole anche dell'aumento dei premi assicurativi delle polizze sanitarie. Dietro la recente esplosione di sparatorie nelle scuole c'è la psichiatria, che è responsabile anche dell'11 settembre. «I kamikaze sono... assassini costruiti grazie alle droghe e ai metodi psicopolitici» si legge su uno dei cartelloni. «Accurato indottrinamento e trattamento psichiatrico possono far sembrare razionale anche l'atto più barbarico».





Arriviamo sempre con un salto quantico a “Psichiatria: viaggio senza ritorno [27 Marzo 2009 - sala presidenziale della Stazione Santa Maria Novella a Firenze]. In particolare quest’ultima organizzata dal Comitato dei Cittadini per i Diritti Umani - CCDU, organizzazione fondata in Italia nel 1979 nata con lo scopo di per denunciare le violazioni dei diritti fondamentali dell’uomo compiute dalla psichiatria nel campo della salute mentale, emanazione italiana della Commission for Human Rights (USA) fondata nel 1969 dal Dott. Thomas Szasz Professore Emerito di Psichiatria all’Università di Syracuse, nello Stato di New York e fa parte della Chiesa di Scientology.

La mostra proponeva 15 documentari riguardanti la storia della psichiatria, che ne denunciavano le ingiustizie commesse nel corso del tempo in nome della ricerca e del guadagno. Oltre a parlare della storia della psichiatria, passando inevitabilmente per le pratiche eugenetiche, i documentari fanno molta attenzione allo stretto collegamento che c’è tra psichiatri (americani, nella fattispecie) e case farmaceutiche, nonché sul grave problema in cui riversano i bambini americani sulla diagnosi della sindrome da deficit di attenzione e iperattività, meglio nota come ADHD o ADD e per la quale milioni di bambini sono sottoposti a cure psichiatriche che li danneggiano, fino a portarli spesso al suicidio o a renderci spettatori di spiacevoli fatti di cronaca. Ovvero esattamente le cose che tu hai postato.




Quindi dire che unendo i numeri con un trattino abbiamo forse identificato chi è l’autore del primo scritto a cui hai fatto riferimento nell’apertura del 3d. Stiamo parlando di una ipotesi complottista sostenuta da una chiesa (Scientology). Chiesa he utilizza dei fatti indubbiamente esecrabili della storia della psichiatria e della pratica psichiatrica costruendo un assioma. E che sposa una campagna ben precisa schierandosi contro il trattamento dell’ADD.





Per me, viziata dai miei personali confiitti di interesse, qualsiasi cosa sia proposta su una base religiosa, di misticismo, non ha valore alcuno in quello che è un problema di natura clinica. Ora, nella massima libertà delle convinzioni di tutti, ognuno può decidere a chi affidare sé stesso, se alle parole di un medico, con tutti i limiti e i conflitti di interesse veri o presunti, dichiarati e non, ma anche a uno stregone o a un cartomante. Ma se io ritengo e lo ritengo che ci troviamo di fronte a qualcosa di subdolo, che fa proselitismo e denari utilizzando argomenti in cui può esserci perfino una verità storica o che si demonizzino uno o più farmaci o una o più terapie senza uno straccio che sia uno di verità scientifica che non sia quella stessa verità che ad oggi offre la medicina ufficiale (ovvero ad esempio gli effetti collaterali dei farmaci), nonché sfrutti eventi scollegati tra loro e ricollegati attraverso un sapiente mix persuasivo, io ripeto e ripeterò sempre che trattasi di fede (nello specifico ci metto la connotazione negativa settarismo), che troppo spesso è orba da un occhio e dall’altro, e che la fede, qualsiasi essa sia, deve stare ben lontana dalla scienza medica.








Devadasi, schiave della Dea



“Pensa che la tua vita non ti appartiene. Sei come un tempio nel quale devono accedere tutti e da ogni parte. Questa è la volontà di Yellamma e per questo sei stata messa al mondo”.
Francesca Sassano, La donna d’angolo, Ed. I libri di PAN, Firenze 2007




A causa della natura clandestina dell'industria del sesso e anche per la varietà di gamma e la distribuzione geografica delle prostitute, è impossibile avere una stima precisa del numero di prostitute dell’India contemporanea. Gilada stima il loro numero in 100.000 a Bombay, 100.000 a Calcutta, 40.000 a Delhi, 40.000 e 13.000 ma questi dati sono considerati sopravvalutati da alcuni studiosi e sottovalutati da altri.


L'avvento dell'AIDS ha generato pochi studi empirici, unitamente ai programmi di intervento nelle zone a luci rosse di alcune grandi città.I risultati di questi studi confermano il luogo comune che le prostitute generalmente vivono in ambienti fatiscenti e malsani. Una parte importante di ciò che i loro clienti pagano viene trattenuto da protettori, padroni di casa, tenutarie, finanzieri e poliziotti. Spesso non ricevono un'alimentazione sufficiente. A causa del forte pregiudizio nei loro confronti non possono usufruire delle strutture sanitarie del governo e devono dipendono per lo più locali ciarlatani che si fanno pagare cifre esorbitanti per trattamenti e medicinali. Una gran parte di loro soffre da vari tipi di malattie sessualmente trasmissibili. La maggior parte di loro sono costrette ad esercitare questa professione a causa di circostanze avverse, in particolare il 59% delle prostitute sono state abbandonate dai loro mariti.Le cause della prostituzione sono da ricercare nei maltrattamenti da parte dei genitori, nell’induzione alla prostituzione da parte di sfruttatori, nella prostituzione familiare, nel mancato matrimonio, nell’assenza di educazione sessuale, nell’incesto prima e nello stupro, nel matrimonio precoce e nell’abbandono del coniuge o nella vedovanza, nell'ignoranza e nell'accettazione della prostituzione. Molte di loro erano originarie del distretto di Murshidabad, dove molte giovani donne provenienti da famiglie povere si prostituiscono per inviare denaro alle loro famiglie. La maggior parte di loro viene avviata involontariamente alla prostituzione ed entra in un sistema di sfruttamento.Si stima che circa l'85% di tutte le prostitute di Calcutta e Delhi vengano avviate alla prostituzione in tenera età e il numero delle prostitute bambine è in crescita anche per l’impulso dato dall’aumento del turismo sessuale. Le prostitute bambine provengono da aree a medio-basso reddito, baraccopoli urbane e aree rurali, e sono indù nell’85% dei casi, nella gran parte dei casi sono intoccabili.L’origine del Devadasi si perde nel passato. Il termine Devadasi è stato ritrovato in documenti datati fin dal dodicesimo secolo e trae origine dalla parola “dedi “, che significa dio, e da “dasi” che significa schiava.Fin dal 300 dC era consuetudine consolidata in India che giovani ragazze fossero chiamate a svolgere nei templi la danza Odissi, una pratica rituale a volte eseguita come intrattenimento per la corte del Raja e, o doveri religiosi (seva). Erano donne dotate di una grande cultura umanistica che compivano attraverso la danza rituale una missione, un vero dovere morale e religioso (dharma) nei confronti della comunità. Le Devadasi avevamo come la regina il privilegio di non diventare mai vedove e di non portare mai i segni della vedovanza, e per questa ragione erano considerate di buon auspicio.Si ritiene che esse fossero in origine caste vergini dedicate unicamente agli dei, ma successivamente fossero rese oggetto di godimento sessuale per i sacerdoti del tempio e dei pellegrini diretti nei templi indù. Il sistema Devadasi comporta un rito religioso in cui ragazze e donne sono sacrificate attraverso il matrimonio a divinità, diventandone le loro spose. Esse vengono chiamate a svolgere diversi compiti nei templi (seva), compiti che, nel tempo, hanno incluso prestazioni sessuali nei confronti di sacerdoti e patroni dei templi. Per via della sacralità di questa funzione e del fatto che le Devadasi incarnano una forma di divinità, questa attività è stato definita " prostituzione sacra".L’indistinguibilità tra queste figure e quelle di prostitute agli occhi degli occidentali rende ragione del fatto che questa pratica venisse bandita nel 1920 con l’abolizione del sistema Devadasi. Il ruolo delle Devadasi è attualmente quello di schiave il cui dovere religioso le obbliga ad essere disponibili a rapporti sessuali con qualsiasi uomo di qualunque origine e casta.Le Devadasis sono, quindi schiave, e sono Devadasi il 70% delle bambine prostitute indiane. Alcuni segni che appaiono sulla bambina sono la testimonianza che questa è stata scelta da Yallama per diventare schiava della dea, e tra questi segni il più comune è l’apparizione di un nodo nei capelli detto jat. Da questo momento alla bambina non vengono più tagliati i capelli e nelle campagne non è difficile notare bambine dai capelli lunghissimi che verranno scelte da veterane che fingendo di cadere in trance mistico scelgono le più belle tra le bambine e consegnano loro la collana simbolo della loro iniziazione a Devadasi. In realtà il fatto che una bambina sia scelta per essere Devadasi rappresenta una occasione di miglioramento del tenore di vita della sua famiglia di origine perché ai genitori viene versata una parte (misera) dei guadagni della bambina. Una bocca in meno da sfamare e una dote in meno sono anche motivi che spingono le madri ad annodare i capelli delle figlie creando uno jat.Nel caso la propria figlia sia prescelta, madri e padri sanno che il loro livello di vita migliorerà, perché una pur misera parte dei guadagni della bambina sarà loro versata, ottenendo in cambio il solo dovere di dare il nome della figlia ad una delle future nipoti. Le bimbe, quasi sempre di età inferiore ai sette anni subiranno ogni tipo di abuso, e le loro madri non sapranno mai più nulla di loro.Il sistema Devadasi è attualmente illegale e leggi contro sono state approvate in tutti gli Stati indiani. Studi sul sistema Devadasi nell'India contemporanea sottolineano che esso ancora prevale in quanto istituzione, in alcuni templi indù, soprattutto in Karnataka e Andhra Pradesh. Gilada e Thakur riportano che ogni anno circa 10.000 giovani ragazze provenienti da famiglie povere sono sacrificate come Devadasis alla dea Yallama e ipotizzano che la maggior parte prostitute nei distretti di frontiera del Maharashtra e Karnataka siano Devadasis. Nel Karnataka, la forma più comune di lavoro sessuale tradizionale è associata con il sistema Devadasi.La legge non punisce la prostituzione di ragazze oltre i 18 anni, ma rende i bordelli illegali, così come lo sfruttamento della prostituzione, l’induzione alla prostituzione e l’adescamento in luoghi pubblici. La legge non punisce i clienti e molto raramente si arriva alla condanna per questi reati, mentre il dilagare della corruzione tra le forze di polizia alimenta un sistema di falsificazione nelle identificazione delle ragazze identificate nei bordelli, tanto che in uno studio eseguito per valutare l’operato della polizia nella repressione del fenomeno della prostituzione infantile su un campione casuale di 28 su 68 bordelli ben il 60$ delle prostitute erano bambine.Molto limitato l’uso del preservativo tra le prostitute in India. L’aumento della prevalenza di casi di HIV-positività tra le prostitute della zona a luci rosse di Bombay hanno indotto il governo indiano ad avviare progetti di intervento per sensibilizzare le prostitute all’uso del preservativo e per distribuire condoms a prezzi ridotti. Il problema principale risiede nella mancata volontà dei clienti di usare il preservativo e nell’impossibilità delle prostitute a rifiutare i clienti


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La prima volta che ho sentito parlare delle spose di Yallama è stato molti anni fa in occasione della lettura della storia, introvabile in rete malgrado l’abbia setacciata per giorni, della morte di una prostituta bambina indiana, Devadasi, intoccabile. Aveva 4 anni.

Fulvia

(Gilada IS. Women in prostitution in urban centres: Study perspectives and positional problems for social interventions. Paper presented to the NGO Forum of World Conference to Review and Appraise the Achievements of the United Nations Decade for Women: Nairobi; July, 1985. p. 5-26)(Ghosh M, Das NK. Anonder opekshay: Chondalika Ekdal Khokkosh [Report on prostitution in Calcutta, in Bengali]. Kolkatta Development Dialogue: Kolkatta; 1990)(Mukhopadhyay KK. Girl prostitution in India. Soc Change 1995;25:143-539)(Nag M. Sexual behaviour in India with risk of HIV/AIDS transmission. Health Transition Rev 1995;5:293-305)(Gilada IS, Thakur V. Devadasis: In : Exploitation of Women and Children: Its Causes and Effects. Proceedings of the Asian Regional Conference, Delhi, 17-19 November. International Abolitionist Federation: Delhi; 1988)(Blanchard JF, O'Neil J, Ramesh BM, Bhattacharjee P, Orchard T, Moses S. Understanding the social and cultural contexts of female sex workers in Karnataka, India: Implications for prevention of HIV infection. J Infect Dis 2005;191:S139-46).(Debabrata R. When police act as pimps: Glimpses into child prostitution in India. Manushi 1998;105:27-31).(Nag M. Sexual behaviour in India with risk of HIV/AIDS transmission. Health Transition Rev 1995;5:293-305)






La pietra e la corda




Cala la mobilitazione sul caso di Sakineh, da quando la condanna a morte per lapidazione è stata trasformata in condanna a morte per impiccagione. Cambia anche il reato, dall'adulterio all'omicidio. Alcune riflessioni si impongono a questo punto.

Esiste una modalità di erogazione della morte che risulti più gradevole rispetto ad un'altra? E perché?

La lapidazione è indubbiamente una morte atroce, lenta e dolorosissima. Quando sono le donne ad essere lapidate il loro corpo viene seppellito in una buca molto più profondamente di quanto venga interrato il corpo di un uomo, infatti se il condannato riesce a liberarsi ha salva la vita. Nel caso di una donna si vuole essere ben certi che non possa liberarsi. A differenza di quanto avviene per i condannati uomini, il viso delle donne non viene coperto. Sono quindi ben visibili i traumi che progressivamente si stampano sul volto e sulla testa della condannata, e le espressioni di terrore, le smorfie dell'agonia. Non sono dettagli.

Ma anche la morte per impiccagione è indubbiamente molto crudele. O il condannato ha la "fortuna" di rompersi il collo nell'apertura della botola o la morte sopraggiunge per soffocamento e possono essere necessari anche quindici lunghissimi minuti per morire. Curiosità macabra, molto dipende dal tipo di corda e dal tipo di nodo. Lasciare un cappio allentato favorisce una morte rapida, serrarlo bene intorno al collo invece una morte lunga. Rimane la macrabra anedottica della morte di Eva Dugan, condannata alla pena capitale in Arizona negli anni ‘30, che venne decapitata durante l’impiccagione. Le persone che erano presenti all'evento videro rotolarne la testa ai loro piedi.

Quindi, che cosa è cambiato per fare calare l'attenzione mediatica sul caso Sakineh? E' cambiato che la morte per impiccagione ha il sapore di una morte occidentale. Tutti noi abbiamo visto film western in cui si impiccavano i condannati al primo albero, nelle versioni patibolo o cavallo. Molto americano. Già. Sottile l’ironia del regime iraniano, che dopo l'ondata di proteste internazionali non fa altro che modificare la modalità di morte e trasformarla in qualcosa che è presente o è stato presente fino a non molto tempo fa anche in quella che viene considerata la migliore democrazia del mondo, gli Stati Uniti. Che prevedono in molti stati la pena di morte per omicidio, anche per impiccagione.

A questo punto appare chiaro che difendere Sakineh non ha più la valenza antislamica che possedeva in origine, perché sigilla le bocche di tutti coloro che non protestano contro la pena di morte in ogni parte del mondo comunque venga erogata.

Altro elemento di riflessione è che la pressione mediatica è riuscita ad essere ascoltata perfino dal rigidissimo governo iraniano, che ha dovuto prendere atto della mobilitazione internazionale. Possiamo dire che il monolitico regime sa che il mondo esterno è in grado di avere informazioni e esercitare pressioni. La presa d’atto ha comunque il sapore della beffa, perché il governo iraniano ha posto il suo strumento di giustizia sullo stesso livello di quello americano. Allineandosi. Noi come loro. La mossa del cavallo, direbbe Camilleri.

Pesano sulla vicenda di Sakineh tutta una serie di incongruenze e di doppiopesismi. Mentre la mobilitazione internazionale ha speso e spenderà, con ragione, parole ed iniziative per Sakineh, è morta quasi nel silenzio generale Teresa Lewis, mandante di omicidio (gli esecutori materiali dell'omicidio sono stati invece condannati all'ergastolo) applicando la pena capitale malgrado la donna possedesse un QI di 72. Due punti sopra l'incapacità di intendere e volere, ovvero conscia del suo operato grazie a quei due punti generosamente concessi da madre natura o da chi per lei. Nessuna mobilitazione internazionale per Teresa, nessuna Carlà minacciata ed insultata pubblicamente.

Dietro queste due vicende di condanna a morte, una eseguita e una no, ci sono delle verità che non possono essere dette.

Ovvero che esiste una morte buona erogata da un governo buono, democratico, garantista, e una morte cattiva erogata da un governo cattivo.

Io ho firmato e rifirmerei l'appello per Sakineh, pur non essendo aprioristicamente contraria alla pena di morte (non lo era nemmeno il Beccaria). Ma non ho trovato un appello da firmare per Teresa Lewis, e tutto questo mi porta a dire, credo onestamente, che la mia firma esprime solamente la scelta tra la pietra e la corda.

Le bambine mancanti





Le informazioni sulla pratica dell’infanticidio femminile in India prima dell’arrivo del governatorato inglese erano piuttosto scarse. Era noto che fosse diffusa in tutti gli stati del nord e del centro tra le caste alte e di origine guerriera ( Rajput, i Jat, gli Ahir, i Gujar e i Khutri). 


Nel 1808 nell’attuale provincia di Vadovara (precedentemente Baroda), in 1.250.000 famiglie di Jadeya Rajput venivano uccise ogni anno circa 20.000 neonate. In Punjab nel 1851 nella casta Sikh dei Bedi non nascevano femmine da 400 anni, mentre in Uttar Pradesh nel 1856 in 78 villaggi su mille bambini di età compresa tra 0 e 6 anni 721 erano maschi e 129 femmine (Vishwanath L.S., "Effort of Colonial State to Suppress Female Infanticide", Economic and Political Weekly, 33, 1998, n. 19, pp. 1104-112.).


Nel 1870, con il Female Infanticide Act, il governo Britannico prese posizione contro l’infanticidio delle femmine rendendolo un atto criminale punibile dalla legge. Il risultato di questa legge fu che non risolse il dramma dell’infanticidio ma rese la pratica più segreta, rendendo di fatto impossibile una stima numerica del fenomeno e ancor meno la disponibilità di dati provenienti da organi ufficiali di governo. Sono comunque presenti dati da studi svolti da organizzazioni accademiche, associazioni non governative, ricercatori indipendenti o commissionati da uffici governativi specifici dei singoli stati, riguardanti aree ristrette già riconosciute per l’elevata incidenza della pratica, prevalentemente nelle regioni a Nord dell’India.


Ci sono infatti differenze tra il nord, dove lo squilibrio demografico a favore dei nati di sesso maschile è ampiamente documentato, e il sud dell’India. La diversa incidenza può essere in parte spiegata da ragioni storiche. Nell'India del Nord si sono succedute moltepl invasioni con la necessità di una forte presenza di guerrieri uomini per la difesa del territorio, laddove le donne, oltre a non essere utili nella difesa rappresentavano l’anello debole della struttura sociale in quanto necessitavano di protezione, oltre che essere colpevoli di macchiare l’onore della famiglia quando violentate dagli invasori. (Patel R., "The Practice of Sex Selective Abortion in India: May You be The Mother of a Hundred Sons", Carolina Papers, 3, 1996, n. 1.). 


Nel distretto di Bhindin in cinque villaggi caratterizzati da sex ratio sfavorevole al genere femminile una ricerca evidenziò la presenza di un numero di donne particolarmente basso tra alcune caste: la discrepanza di genere maggiore venne rilevata tra i Gujar, con 392 donne ogni 1000 uomini, seguiti dagli Ahir con 400/1000 e dai Rajput con 417/1000. Queste osservazioni concordano con l’interpretazione del fenomeno data da Patel, poiché le caste citate hanno origine guerriera e appartengono ad alti strati della società. Inoltre queste stesse caste appartengono a quelle citate nei rapporti inglesi del periodo coloniale come ad elevata prevalenza di infanticidio, confermandone così la continuità storica. (Premi M.K., Raju S., "Born to Die: Female Infanticide in Madhya Pradesh", in Search Bulletin, 13, 1998, n.3, pp. 94-105).


Anche la tradizione secolare dell'ipergamia, ovvero l’usanza di dare in moglie le donne ad uomini di status sociale superiore rendeva e rende difficile, allora come oggi, ed economicamente estremamente oneroso per una famiglia di alta casta, trovare uno sposo adatto per una figlia, anche perché durante la cerimonia matrimoniale viene stabilita la superiorità della famiglia dello sposo rispetto a quella della sposa. Il matrimonio di molte figlie ha la valenza di ripetute sottomissioni che minano il prestigio e la fierezza delle caste guerriere.


L’Adhiti, un’organizzazione non governativa, è impegnata dello stato del Bihar con numerosi progetti di istruzione e di finanziamento diretti alle donne, e tra questi progetti iniziò nel 1990 un programma di addestramento sanitario rivolto alle 68.000 levatrici operanti in sette distretti geograficamente contigui dello stato. Attraverso questo progetto emerse il ruolo svolto dalle levatrici nella pratica dell’infanticidio femminile. Il compenso percepito per l’assistenza al parto infatti è doppio se il nascituro è maschio, e nel caso sia femmina, sale di dieci volte se al momento del parto “risolve” l’imbarazzante problema della nascita di un figlio di sesso sbagliato. Sono le stesse levatrici ad ammettere di assassinare almeno due bambine a testa al mese, per un numero orientativo di 1.632.000 infanticidi annui (Sudha S., Irudhaya Raja S., "Intensifing Masculinity of Sex Ratio in India: New Evidence 1981-1991", Working Paper, 288, Thiruvananthapuram, Centre for Development Studies, 1998.).


Le modalità con le quali viene erogata la morte sono terribili e esulano da questo mio scritto, ma comprendono avvelenamento, soffocamento, annegamento, la morte per mancata assistenza. Non sempre la morte sopraggiunge in maniera rapida ed indolore.L'infanticidio è un metodo di pianificazione familiare e poiché non si desidera limitare in toto il numero delle gravidanze ma solo la presenza di figlie femmine l'uso di anticoncezionali non viene preso in considerazione.……Dal 1995 Mumbai è il nome ufficiale della città di Bombay, tredici milioni di abitanti. Il nome "Mumbai" etimologicamente deriva dall’unione di due parole in lingua marathi, il nome della dea indù Mumbadevi e da Aai, madre. Un lavoro pubblicato nel 1988 (Gangrade, K.D. (1988). Sex Determination – A Critique. Journal of Social Change, Vol. 18 No. 3, Pp. 63-70) ha evidenziato che su 8000 feti abortiti nei sei ospedali della città dedicata alla dea-madre 7999 erano di sesso femminile.


La conoscenza di metodi per la determinazione del sesso del nascituro hanno reso possibile la nascita del fenomeno dell’aborto selettivo come strumento di soppressione delle femmine, fenomeno così diffuso da indurre il governo indiano nel 1994, con una legge, a vietare la determinazione del sesso del feto e a punire l’uso non legittimato da motivi di ordine clinico di tecniche di diagnosi prenatale. Questo divieto non ha prodotto alcun risultato e non c’è mai stata dal 1994 ad oggi nessuna condanna per violazione del Pre-Natal Diagnostic Techniques, né tra i medici né tra le gravide (Mudur G., "Indian Medical Authorities Act on Antenatal Sex Selection", British Medical Journal, 14 Agosto 1999). Il divieto di utilizzare metodiche come l’amniocentesi col solo scopo di determinare il sesso del feto viene seguito prevalentemente nelle strutture pubbliche, favorendo il fiorire di strutture private che aggirano la legge e alzano il prezzo degli esami.Il metodo più diffuso di diagnostica prenatale utilizzato allo scopo di identificare il sesso fetale è l’amniocentesi che viene effettuata in maniera estensiva perfino in aree rurali e a volte in condizioni di assistenza sanitaria pessime, seguito dall’ecografia prenatale, che per la facile trasportabilità delle apparecchiature può raggiungere anche angoli remoti dell’India.


La pratica dell’aborto selettivo attenua la responsabilità morale che deriva dall’infanticidio delle femmine. Pur essendo visto come un crimine secondo lo studio delle sacre scritture hindu, e pur essendo moralmente esecrabile in molti contesti sociali indiani, a differenza di quanto succede con l’infanticidio, l’aborto non è illegale in India e può essere eseguito a discrezione del medico entro la ventesima settimana di gestazione.In un’intervista condotta tra donne indiane del Punjab, sorprendentemente, nonostante il 72% delle intervistate ritenesse l’interruzione della gravidanza un peccato assimilabile all’omicidio e un rifiuto al compimento della volontà divina, il 95% delle stesse donne si dichiarava favorevole all’aborto se il feto fosse stato di sesso femminile (Kaur M., "Female Foeticide: A Sociological Perspective", The Journal of Family Welfare, Marzo, 39, 1993, n. 1, pp. 40-43.).Non è possibile, anche data la recente comparsa della pratica dell’aborto selettivo e la relativa mancanza di dati, conoscere il numero di feti abortiti ogni anno in India dopo determinazione del sesso del nascituro, anche perché si ipotizza un numero elevato di casi non notificati poiché le attrezzature per questa pratica possono consistere in un ecografo portatile e in qualche ferro chirurgico. Secondo una stima autorevole ogni anno almeno 5.000.000 di feti femminili vengono abortiti (Ramachandran S., "Indian Religious Leaders Decry Killing of Unborn Baby Girls", CNSNews.com, 27 Giugno 2001.).….


Un piano di azione nazionale diretto a favore delle bambine è stato formulato nel 1992 e mira a garantire la parità di stato per le bambine, fissando obiettivi specifici per la loro sopravvivenza dignitosa. Tuttavia, l'obiettivo della legge non è stato raggiunto a causa di lacune legislative e per la mancanza di una sua corretta attuazione. Anche se la legge è un potente strumento di cambiamento essa da sola non è in grado di modificare questo enorme problema umano e sociale. L’essere femmina è uno svantaggio non solo per considerazioni di natura economica ma anche per fattori socio-culturali, come ad esempio la trasmissione del lignaggio attraverso i maschi. Il lavoro coordinato di leader politici e religiosi, di organizzazioni di volontariato, dei media, di operatori della sanità e delle forze dell’ordine che sé colto a promuovere profonde modificazioni di pensiero che possano cancellare la discriminazione delle donne in India.La discriminazione infatti accompagna tutta la vita di una donna indiana, fin dalla sua origine, in ogni fase, e la discriminazione di genere è talmente profonda che secondo una estrapolazione di dati ottenuta analizzando il Census of India del 2001, a circa 30 milioni di donne, per mano di un altro essere umano, non è stato concesso né il diritto di nascere né quello di sopravvivere al primo anno di vita.

La ricetta del giorno: il Trota al Carroccio


Difficoltà: media superiore
Proprietà organolettiche: indigesta
Costo: 22.000 euro al mese
Ingredienti
Un Carroccio
Un Trota, d’ Itaglia media
Prezzemolo, Sale. Olio
1 Pulire il Trota (l’operazione potrebbe richiedere un po’ di tempo). Evisceratelo, squamatelo. Non è necessario togliere il cervello.
2 Mettere all’interno del pesce abbondante sale. Il Trota è notoriamente pesce scipito ma nonostante questo piace ai giovani ed è consigliato nei momenti di affaticamento mentale, ad esempio esami scolastici, per il suo leggendario contenuto in fosforo.
3 Guarnite con ciuffi di prezzemolo. Il verde (particolarmente nella tonalità verde Lega) permette di rendere gradevole l’aspetto del Trota, che di per sé è piuttosto bruttarello.
4 Avvolgetelo in un bel Carroccio. Come per il prezzemolo, la scelta del Carroccio è fondamentale per la riuscita del Trota. Infatti, solo un Carroccio su misura permette che si liberino nell’aria aromi ed umori tali da giustificare il costo, effettivamente un pelino oneroso, della pietanza in questione.
5 Lasciatelo cucinare dolcemente. Non va assolutamente punzecchiato coi rebbi della forchetta. Il Trota ha i suoi tempi, che vanno rispettati. Prima o poi sarà preparato. In genere al terzo-quarto tentativo.
6 Il Trota è servito. Potete finalmente presentarlo (sempre se non ve ne vergognate) in tavola.



Quando la malattia è rara


In Italia ci sono malati che non sono come gli altri. Sono i portatori delle cosiddette malattie rare, in altre parole quelle malattie che colpiscono meno di una persona su 2000; il 70% dei casi riguarda l'età pediatrica. Un piccolo esercito di due milioni di persone in Italia per oltre 6000 patologie diverse, la cui origine è genetica nell’80% dei casi. Generalmente sono malattie croniche, spesso degenerative, disabilitanti e ad elevato impatto psicologico e sociale.
Certamente di malattie rare ne abbiano sentito parlare, così come di” farmaci orfani” (quelli che non sono sviluppati perché il mercato è considerato insufficiente), ma ci siamo mai veramente chiesti che cosa significa avere la doppia sfortuna di essere ammalati di qualcosa di “non convenzionale”?
Chi soffre di malattie rare ha difficoltà di accesso alle informazioni, ai farmaci, ad una diagnosi tempestiva, a cure adeguate e soprattutto a cure innovative.
Per avere la diagnosi corretta di malattia rara occorrono mediamente tre anni, ma anche sette. La diagnosi è molto spesso posta da Centri specializzati ai quali il paziente può giungere dopo molti insuccessi e pellegrinaggi per la mancanza di collegamenti tra Centri specializzati e medicina del territorio. Sorprendentemente spesso sono le associazioni di malati e perfino il web a mettere in contatto il malato con il centro di riferimento. Un passaparola che supplisce la mancanza di un percorso finalizzato e strutturato tra territorio e specialistiche. Sono i Centri Specializzati a riconoscere le malattie rare in più di 8 casi su 10, laddove medico di famiglia e pediatra sono in grado di porre diagnosi solamente in poco più del 4% e del 18% dei casi rispettivamente. Il risvolto pratico di queste mancate diagnosi è di perdere tempo (e risorse) senza conoscere specificatamente quale sia il nemico da affrontare.
Una volta che faticosamente è posta la diagnosi di malattia rara, che succede? Spesso, e in alcune statistiche si parla di più del 65% dei casi (pur ricordando che queste statistiche sono limitate e quindi poco attendibili) il SSN non considera rimborsabili i farmaci indicati per il trattamento (in pratica la non concessione della classe A), e capita che i costi per il loro l’acquisto debbano essere sostenuti dal malato. Nel dieci percento dei casi si verifica l’abbandono delle terapie perché il malato non è in grado di farvi fronte economicamente. A volte parliamo di farmaci salvavita. Ci sono altre variabili oltre al mero costo dei farmaci, che rendono in alcuni casi superiore ai 7000 euro l’anno le spese vive sostenute dai pazienti e non rimborsate. A formare questa cifra concorrono ad esempio i costi dovuti a spostamenti e pernottamenti in Centri non facilmente raggiungibili, spesso raddoppiate dalla necessità di un accompagnatore, la perdita di giornate lavorative oltre che l’esecuzione di esami che non sono coperti dall’esenzione alla partecipazione alla spesa sanitaria per patologia.
Il nodo davvero cruciale è quello dei farmaci ad alto costo, che esistono, andrebbero concessi ma non sono erogati o almeno non lo sono in maniera uniforme sul territorio e trasparente, soprattutto per i pazienti non pediatrici. Ricordavamo prima il lungo tempo necessario per arrivare alla diagnosi. A volte non basta, il malato ha finalmente la diagnosi, il farmaco esiste, è in prontuario, è perfino a costo zero per il paziente (pur se ad alto costo per il SSN) ma non viene prescritto. Nella pressoché totalità dei casi il problema è rappresentato dai costi, dall’impossibilità di pianificarli (anche per la difficoltà di conoscere l’aspettativa di vita dei malati e in assenza di protocolli uniformi, dato che l’esperienza di trattamento è molto limitata) e dalla presenza di un tetto massimo di spesa. Inoltre, per effetto del federalismo sanitario assistiamo a diritti garantiti in modo variabile da regione a regione: una patologia può semplicemente “sparire” in una regione per esclusione dai LEA regionali (Livelli Essenziali di Assistenza) e perdere così ogni riconoscimento.
Insomma una situazione molto complessa, burocratizzata, con situazioni paradossali che deve essere affrontata e risolta in modo urgente e definitivo, tenendo presente alcuni punti fondamentali. Non è eticamente accettabile che l’appartenenza a regioni diverse possa creare differenti possibilità di accesso alle terapie per le malattie rare. Allo stesso modo è imperativo garantire la massima trasparenza nella gestione e nell’utilizzo delle risorse che sono destinate alle malattie rare. Bisogna assicurare la presa in carico dei malati creando percorsi di diagnosi e terapia integrando i Centri specialistici con la medicina del territorio per non frammentare o rendere macchinosi i percorsi stessi. Bisogna garantire l’accesso alle terapie, che in molti casi sono disponibili, semplificando le norme per la loro erogazione e attribuendone il carico al SSN, senza discriminazioni territoriali e fornendo il meglio ai malati in termini di farmaci innovativi. E non ultimo, occorre promuovere la ricerca sulle malattie rare e la diagnostica precoce, perché in molti casi col farmaco adatto fornito, tempestivamente, si ottiene il vantaggio di un malato meno malato, che non ha bisogno di assistenza e presidi a maggior costo, in altre parole di un malato che può essere parte attiva nella società, fornendo in termini di ricchezza più di quanto costi.
http://www.iltuoforum.net/forum/l-argonauta-f35/l-argonauta-n-2-quando-la-malattia-e-rara-t1416.html

Le relazioni pericolose


La notizia esce sul Corriere della Sera, spazio salute. La prestigiosa rivista Lancet Oncology pubblica un articolo di cui si sostiene che molecole ad azione antipertensiva (quelle che agiscono bloccando il sistema renina-angiotensina - ARBs), possano aumentare nei pazienti trattati la probabilità di sviluppare il cancro in maniera statisticamente significativa (cito testualmente dall’articolo, Patients randomly assigned to receive ARBs had a significantly increased risk of new cancer occurrence compared with patients in control groups). La pubblicazione termina dicendo che altri studi sono necessari al fine di confermare il dato emerso. Gli ARBs sono utilizzati per trattare l’ipertensione, nei pazienti con scompenso cardiaco, e come farmaco antipertensivo di elezione nei pazienti diabetici. La Boehringer Ingelheim dichiara in un comunicato di essere fortemente in disaccordo con la pubblicazione di Lancet Oncology e conferma la sicurezza del Telmisartan, un ARBs tra le sue molecole di punta, ponendo l’accento che sono circa trentacinque milioni i pazienti al mondo che assumono il solo Telmisartan nel mondo e che tantissimi studi sugli ARBs ne hanno avvalorato le loro peculiari caratteristiche di efficacia e tollerabilità.
Per una strana associazione di idee la lettura di quest’articolo mi riporta alla mente una storia dimenticata.
Qualcuno forse ricorderà un nome, Thalidomide, e poi un altro, focomelia. Nel 1954 la chimica Grünenthal presentò all’OMD un farmaco ad azione sedativa e antiemetica, il Thalidomide, che uscì sui mercati dopo tre anni di sperimentazione, e che fu assunto da circa cinque milioni di persone, tra le quali donne in gravidanza. Solo dopo cinque anni fu sollevato il dubbio che potesse esserci una relazione tra assunzione di Thalidomide in gravidanza, morte perinatale e nascita di bambini con gravi malformazioni. Le donne gravide che avevano assunto il Thalidomide partorirono neonati con gravi alterazioni dello sviluppo degli arti (dall’amelia, assenza degli arti soprattutto superiori, molto spesso bilaterale, alla focomelia, riduzione della lunghezza delle ossa lunghe degli arti). Si trova una traccia in alcuni documenti dell’epoca che il Thalidomide potesse essere stato prodotto come antagonista del gas nervino sarin dalla Rhône-Poulenc durante la seconda Guerra mondiale, mentre l’Azienda era sotto il controllo nazista, e ceduta in seguito alla Grünenthal. Il Dottor Martin Johnson, direttore del Thalidomide Trust affermò: “Appare sempre più probabile che il thalidomide fu l’ultimo crimine nazista”.
Il processo alla tedesca Grünenthal durò ben nove anni e finì dichiarando i dirigenti della farmaceutica non penalmente responsabili (7 dirigenti accusati di omicidio colposo e di comportamento contrario all’etica medica), mentre la Grünenthal s’impegnò con un accordo privato a risarcire le vittime costituitesi parte lesa nel processo.
Nel 1962 (Gazzetta Ufficiale n. 186 del 1962), con sei mesi di ritardo rispetto a quando ordinato dai ministeri analoghi dei Paesi europei in cui era stato distribuito il farmaco, il Ministero della Sanità Italiana ne ordinò il divieto del commercio e il ritiro dal mercato italiano, dove erano presenti 10 specialità con nomi diversi, sintetizzati da sette farmaceutiche italiane.
La stima dei bambini che hanno riportato danni per l’assunzione materna di Thalidomide è di circa 12.000, in Italia stime prudenti parlano di un numero di casi compreso tra 600 e 700, ma non esiste un registro che possa quantificarli esattamente. Il Thalidomide non fu mai sperimentato su animali in stato di gravidanza prima che fosse approvato il suo impiego nelle donne incinte ma solo su animali non gravidi, con risultati negativi. Gli studi con i quali si era autorizzata la messa in commercio del Thalidomide erano di bassissima qualità.
Perché raccontare questa storia dopo cinquanta anni? Per parlare di farmaci e ricerca scientifica e dei rischi che potrebbero emergere dalla presenza di conflitti d’interesse in questo settore, come quello, non così remoto nella nostra storia, di avere un farmaco potenzialmente dannoso nel nostro armadietto dei medicinali (e mi auguro che non sia il caso degli ARBs).
Nella ricerca scientifica sono presenti interessi primari, quali il paziente e il progresso scientifico, e interessi secondari rappresentati dal profitto economico, dalla notorietà ma anche da convinzioni politiche o religiose, in un’interazione che vede come attori il ricercatore, la scienza medica, le aziende farmaceutiche, i governi. Si parla di conflitto d’interesse quando il giudizio professionale su un interesse primario è indebitamente influenzato da un interesse secondario. Se da un lato il conflitto di interesse per un ricercatore può derivare da motivazioni carrieristiche, oltre che economiche (questo in maniera più o meno palese, basti pensare a partecipazione a congressi sponsorizzati o cessione di apparecchiature in comodato d’uso), nel caso dell’Azienda questo accade palesemente per ragioni economiche. I modi il cui si può alterare la finalità di una ricerca sono moltissimi: commissionamento di ricerche specifiche di maggiore rilevanza commerciale rispetto ad altre a minore reddito, modifica degli obiettivi di partenza (end points) di una ricerca e sostituzione con obiettivi surrogati, mancata messa a disposizione dei ricercatori dei dati bruti e accesso alla sola rielaborazione da parte dello staff statistico aziendale, possesso dei dati e conseguente mancata pubblicazione di quelli negativi, per citare i meno appariscenti. La ricerca costa moltissimo e un vasto numero di studi è prodotto per iniziativa o su commissione di industrie che hanno un forte interesse alla commercializzazione di nuovi farmaci o di nuovi prodotti tecnologici, e un’Azienda si impegna con cifre nell’ordine di centinaia di milioni di euro per la commercializzazione di un nuovo farmaco.
Oggi in Italia oltre il 70% della ricerca è sostenuta economicamente dalle Aziende farmaceutiche. Solamente una parte è finanziata da IRCCS pubbliche o private, aziende USL, associazioni scientifiche o Università. Il costante impoverimento dei fondi pubblici per la ricerca e il grande investimento economico svolto dalle Aziende farmaceutiche che sono soggette a regole di mercato, oltre alla presenza di una normativa che non garantisce appieno l’assenza di conflitti d’interesse, sono elementi che condizionano pesantemente la garanzia di avere studi scientifici trasparenti, e la disponibilità di farmaci la cui sicurezza sia stata davvero esplorata oltre ogni ragionevole dubbio.
Non basta una semplice dichiarazione di intenti per garantire che le parti esercitino i loro ruoli in maniera etica e trasparente. Per avere una ricerca libera da conflitti d’interesse occorre un forte ridimensionamento dei costi della ricerca, un forte aumento di fondi per ricerche potenzialmente utili ma economicamente non redditizie, la dichiarazione preventiva degli elementi di conflitto, l’accesso ai dati bruti, l’obbligo di pubblicazione degli studi interrotti per inefficacia o per eventi collaterali, il potenziamento dei Comitati Etici e l’adozione di normative internazionali di controllo e vigilanza.
Conflitto di interesse: nessuno mi ha pagato per quest’articolo, ma ammetto di averlo scritto perché sarebbe apparso su http://www.iltuoforum.net.
http://www.iltuoforum.net/forum/l-argonauta-f35/l-argonauta-nr-1-le-relazioni-pericolose-t758.html