martedì 27 settembre 2011

Le relazioni pericolose


La notizia esce sul Corriere della Sera, spazio salute. La prestigiosa rivista Lancet Oncology pubblica un articolo di cui si sostiene che molecole ad azione antipertensiva (quelle che agiscono bloccando il sistema renina-angiotensina - ARBs), possano aumentare nei pazienti trattati la probabilità di sviluppare il cancro in maniera statisticamente significativa (cito testualmente dall’articolo, Patients randomly assigned to receive ARBs had a significantly increased risk of new cancer occurrence compared with patients in control groups). La pubblicazione termina dicendo che altri studi sono necessari al fine di confermare il dato emerso. Gli ARBs sono utilizzati per trattare l’ipertensione, nei pazienti con scompenso cardiaco, e come farmaco antipertensivo di elezione nei pazienti diabetici. La Boehringer Ingelheim dichiara in un comunicato di essere fortemente in disaccordo con la pubblicazione di Lancet Oncology e conferma la sicurezza del Telmisartan, un ARBs tra le sue molecole di punta, ponendo l’accento che sono circa trentacinque milioni i pazienti al mondo che assumono il solo Telmisartan nel mondo e che tantissimi studi sugli ARBs ne hanno avvalorato le loro peculiari caratteristiche di efficacia e tollerabilità.
Per una strana associazione di idee la lettura di quest’articolo mi riporta alla mente una storia dimenticata.
Qualcuno forse ricorderà un nome, Thalidomide, e poi un altro, focomelia. Nel 1954 la chimica Grünenthal presentò all’OMD un farmaco ad azione sedativa e antiemetica, il Thalidomide, che uscì sui mercati dopo tre anni di sperimentazione, e che fu assunto da circa cinque milioni di persone, tra le quali donne in gravidanza. Solo dopo cinque anni fu sollevato il dubbio che potesse esserci una relazione tra assunzione di Thalidomide in gravidanza, morte perinatale e nascita di bambini con gravi malformazioni. Le donne gravide che avevano assunto il Thalidomide partorirono neonati con gravi alterazioni dello sviluppo degli arti (dall’amelia, assenza degli arti soprattutto superiori, molto spesso bilaterale, alla focomelia, riduzione della lunghezza delle ossa lunghe degli arti). Si trova una traccia in alcuni documenti dell’epoca che il Thalidomide potesse essere stato prodotto come antagonista del gas nervino sarin dalla Rhône-Poulenc durante la seconda Guerra mondiale, mentre l’Azienda era sotto il controllo nazista, e ceduta in seguito alla Grünenthal. Il Dottor Martin Johnson, direttore del Thalidomide Trust affermò: “Appare sempre più probabile che il thalidomide fu l’ultimo crimine nazista”.
Il processo alla tedesca Grünenthal durò ben nove anni e finì dichiarando i dirigenti della farmaceutica non penalmente responsabili (7 dirigenti accusati di omicidio colposo e di comportamento contrario all’etica medica), mentre la Grünenthal s’impegnò con un accordo privato a risarcire le vittime costituitesi parte lesa nel processo.
Nel 1962 (Gazzetta Ufficiale n. 186 del 1962), con sei mesi di ritardo rispetto a quando ordinato dai ministeri analoghi dei Paesi europei in cui era stato distribuito il farmaco, il Ministero della Sanità Italiana ne ordinò il divieto del commercio e il ritiro dal mercato italiano, dove erano presenti 10 specialità con nomi diversi, sintetizzati da sette farmaceutiche italiane.
La stima dei bambini che hanno riportato danni per l’assunzione materna di Thalidomide è di circa 12.000, in Italia stime prudenti parlano di un numero di casi compreso tra 600 e 700, ma non esiste un registro che possa quantificarli esattamente. Il Thalidomide non fu mai sperimentato su animali in stato di gravidanza prima che fosse approvato il suo impiego nelle donne incinte ma solo su animali non gravidi, con risultati negativi. Gli studi con i quali si era autorizzata la messa in commercio del Thalidomide erano di bassissima qualità.
Perché raccontare questa storia dopo cinquanta anni? Per parlare di farmaci e ricerca scientifica e dei rischi che potrebbero emergere dalla presenza di conflitti d’interesse in questo settore, come quello, non così remoto nella nostra storia, di avere un farmaco potenzialmente dannoso nel nostro armadietto dei medicinali (e mi auguro che non sia il caso degli ARBs).
Nella ricerca scientifica sono presenti interessi primari, quali il paziente e il progresso scientifico, e interessi secondari rappresentati dal profitto economico, dalla notorietà ma anche da convinzioni politiche o religiose, in un’interazione che vede come attori il ricercatore, la scienza medica, le aziende farmaceutiche, i governi. Si parla di conflitto d’interesse quando il giudizio professionale su un interesse primario è indebitamente influenzato da un interesse secondario. Se da un lato il conflitto di interesse per un ricercatore può derivare da motivazioni carrieristiche, oltre che economiche (questo in maniera più o meno palese, basti pensare a partecipazione a congressi sponsorizzati o cessione di apparecchiature in comodato d’uso), nel caso dell’Azienda questo accade palesemente per ragioni economiche. I modi il cui si può alterare la finalità di una ricerca sono moltissimi: commissionamento di ricerche specifiche di maggiore rilevanza commerciale rispetto ad altre a minore reddito, modifica degli obiettivi di partenza (end points) di una ricerca e sostituzione con obiettivi surrogati, mancata messa a disposizione dei ricercatori dei dati bruti e accesso alla sola rielaborazione da parte dello staff statistico aziendale, possesso dei dati e conseguente mancata pubblicazione di quelli negativi, per citare i meno appariscenti. La ricerca costa moltissimo e un vasto numero di studi è prodotto per iniziativa o su commissione di industrie che hanno un forte interesse alla commercializzazione di nuovi farmaci o di nuovi prodotti tecnologici, e un’Azienda si impegna con cifre nell’ordine di centinaia di milioni di euro per la commercializzazione di un nuovo farmaco.
Oggi in Italia oltre il 70% della ricerca è sostenuta economicamente dalle Aziende farmaceutiche. Solamente una parte è finanziata da IRCCS pubbliche o private, aziende USL, associazioni scientifiche o Università. Il costante impoverimento dei fondi pubblici per la ricerca e il grande investimento economico svolto dalle Aziende farmaceutiche che sono soggette a regole di mercato, oltre alla presenza di una normativa che non garantisce appieno l’assenza di conflitti d’interesse, sono elementi che condizionano pesantemente la garanzia di avere studi scientifici trasparenti, e la disponibilità di farmaci la cui sicurezza sia stata davvero esplorata oltre ogni ragionevole dubbio.
Non basta una semplice dichiarazione di intenti per garantire che le parti esercitino i loro ruoli in maniera etica e trasparente. Per avere una ricerca libera da conflitti d’interesse occorre un forte ridimensionamento dei costi della ricerca, un forte aumento di fondi per ricerche potenzialmente utili ma economicamente non redditizie, la dichiarazione preventiva degli elementi di conflitto, l’accesso ai dati bruti, l’obbligo di pubblicazione degli studi interrotti per inefficacia o per eventi collaterali, il potenziamento dei Comitati Etici e l’adozione di normative internazionali di controllo e vigilanza.
Conflitto di interesse: nessuno mi ha pagato per quest’articolo, ma ammetto di averlo scritto perché sarebbe apparso su http://www.iltuoforum.net.
http://www.iltuoforum.net/forum/l-argonauta-f35/l-argonauta-nr-1-le-relazioni-pericolose-t758.html

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