martedì 27 settembre 2011

Scienza, fede e sette.




Ho una posizione preordinata contro tutto quello che fa “setta”, anche possiamo disquisire amabilmente su sfumature quali la ribellione, la diversità, la necessità dell’affiliazione e dell’accettazione, della difficoltà fino all’impossibilità di riconoscere se stessi in religioni tradizionali per esempio, e sono tutte spinte e bisogni umani e talvolta positivi, ma anticipatamente io dichiaro che questa conversazione è viziata da una mia presa di posizione (parte preconcetto e parte convinzione).




Altro conflitto di interesse dichiarato aprioristicamente è il bagaglio formativo (non voglio dire culturale giacché so bene di non essere nulla e nessuno) che è quello dello “scienziato”, quello che applica il metodo scientifico.




Tornando all’argomento di interesse. Il fondatore di Scientology, Ron Hubbard (ex scrittore di romanzi pulp e di fantascienza), si era ispirato a opere di Sigmund Freud in molti dei suoi primi libri, e in Dianetics (le cui teorie furono inizialmente pubblicate su Astounding Science Fiction una rivista di fantascienza) si proponeva già all’esordio del libro di dare una nuova tendenza del pensiero e della pratica psicologica e psichiatrica [cfr l’introduzione a Dianetics del medico e consigliere di Dianetics per le questioni a carattere medico di Hubbard dott. Joseph A. Winter, che ruppe i rapporti con lui nel 1951, mentre ricordo che collaborò con Hubbard in veste di recensore lo scrittore di fantascienza Isaac Asimov ]. Queste elaborazioni furono offerte anche in forma di pubblicazioni a riviste di medicina prestigiose [anche ma non solo l’American Journal of Psichiatry] che le rifiutarono. Pubblicità a libri di testo utilizzati in psichiatria compaiono nella prima edizione di Dianetics [Dianetics: The Modern Science of Mental Health]. Quello che appare certo è che l’intenzione originale di Hubbard fosse quella di considerare gli psichiatri contemporanei come utilizzatori di metodi primitivi laddove il metodo da lui illustrato si presentava come metodo recente ed innovativo, e questo è così vero che almeno nelle prime fasi gli scritti Hubbardiani puntano a una non-colpevolizzazione della psichiatria tradizionale. Il lancio di Dianetics ebbe un riscontro di pubblico entusiasmante e diventò uno dei best-sellers in USA, ma anche delle opposizioni su cui indagò perfino l’FBI nel timore che dietro al lancio del libro ci fosse il pericolo rosso, e la forte opposizione della psichiatria tradizionale in virtù della mancanza di evidenza clinica e di plausibilità scientifica. La forte opposizione era dovuta anche al fatto che Dianetics si proponesse come terapia anche di patologie di tipo organico e non solo come strumento di wellness, temendo che l’Autore volesse proporre il trattamento di affezioni mentali e non['asma, la miopia, il daltonismo, le deficienze uditive, la balbuzie, le allergie, la sinusite, l'artrite, l'ipertensione, i problemi coronarici, le dermatiti, l'ulcera, l'emicrania, la congiuntivite, le nausee mattutine, l'alcolismo, il raffreddore e anche la tubercolosi come disturbo psicosomatico] di ogni tipo pur essendo lo strumento privo di evidenze sperimentali, metodologiche, cliniche ed empiriche e il suo propositore fosse privo di qualsiasi formazione . Hubbard parla apertamente di sostituirsi nel giro di pochi anni alla medicina e alla psichiatria in ogni sua funzione. E’ talmente vero che verranno attribuiti al metodo Dianetics 8 guarigioni di leucemia (volendo tratte da questa guarigione il presupposto dell’origine psicosomatica della leucemia stessa) e scrivendo che l’origine della malattia è la traccia mnesica (o engram) della frase "mi fa andare il sangue in acqua”. Hubbard iniziò a proporre dei diplomi di qualifica corrispondenti a quella di “decano” in medicina e ancor di più in psichiatria già nel 1952, pur attribuendosi un alto consenso pure tra illustri esponenti della psichiatria mondiale di cui però non farà mai i nomi. Naturalmente ci furono fior di denunce per esercizio abusivo della professione medica in molti stati USA e a questo punto, per ridurre la responsabilità legale Hubbard diede corpo a Dianetics attraverso la fondazione di Scientology (prima attraverso la Hubbard Association of Scientologist, da cui nacque nel 1954 Scientology) ovvero che la seconda era una religione e come tale svolgeva un’azione positiva sia spirituale che fisica. Questa è tuttora la posizione ufficiale di Scientology ovvero fornire miglioramento spirituale che causa accidentalmente benefici medici. il che le ha consentito di evitare tasse e controlli e di non dover dimostrare i suoi postulati.




Dianetics secondo il suo creatore causa accidentalmente benefici nel 70% delle patologie, e tutt’ora questo è l’orientamento di Scientology, così come a tutt’oggi Scientology ritiene che tutte le critiche abbiano origine da un complotto, che nel 1950 fu definito da Hubbard ad ispirazione comunista, nominato come "Tenyaka Memorial" e successivamente Scientology descritto come movimento antireligioso.




Facendo un salto quantico arriviamo nel 2006 a “Psichiatria: industria di morte”.




Andrew Gunber, giornalista, descrive scrive dopo averla visitata




Si va dalla terribile crudeltà delle istituzioni mentali vittoriane che facevano pagare il biglietto per potere entrare e farsi qualche risata alle spalle degli idioti lì ricoverati, al movimento eugenetico, che ebbe davvero influenze sul nazismo (e sui segregazionisti del Jim Crow South), fino a tutta la storia controversa della terapia elettroconvulsiva e della lobotomia. Al giorno d'oggi si possono sollevare moltissime critiche legittime contro lo smodato potere dell'industria farmaceutica e dei i suoi lobbisti, sull'eccesso di prescrizioni di tranquillanti e modificatori dell'umore come il Prozac o il Ritalin, esiste davvero una casistica documentata di effetti collaterali preoccupanti, a volte letali, che emergono molto dopo che la FDA ha approvato un farmaco, e così via.




E commenta espicitamente:




Ma una cosa è affermare che in campo psichiatrico si sono verificati abusi, un'altra, e ben diversa, è dire che la professione stessa è malvagia. Il museo dell'"Industria della Morte" si spinge ancora un passo oltre sostenendo niente di meno che la psichiatria è responsabile di tutte le malvagità del mondo. È la psichiatria la vera chiave per comprendere Hitler, non il nazionalismo estremo ("nessun uomo nella storia è stato più importante per il sogno psichiatrico di dominazione mondiale..."). È la psichiatria la vera responsabile del collasso degli standard educativi degli Stati Uniti, non la mancanza cronica di fondi; ed è colpevole anche dell'aumento dei premi assicurativi delle polizze sanitarie. Dietro la recente esplosione di sparatorie nelle scuole c'è la psichiatria, che è responsabile anche dell'11 settembre. «I kamikaze sono... assassini costruiti grazie alle droghe e ai metodi psicopolitici» si legge su uno dei cartelloni. «Accurato indottrinamento e trattamento psichiatrico possono far sembrare razionale anche l'atto più barbarico».





Arriviamo sempre con un salto quantico a “Psichiatria: viaggio senza ritorno [27 Marzo 2009 - sala presidenziale della Stazione Santa Maria Novella a Firenze]. In particolare quest’ultima organizzata dal Comitato dei Cittadini per i Diritti Umani - CCDU, organizzazione fondata in Italia nel 1979 nata con lo scopo di per denunciare le violazioni dei diritti fondamentali dell’uomo compiute dalla psichiatria nel campo della salute mentale, emanazione italiana della Commission for Human Rights (USA) fondata nel 1969 dal Dott. Thomas Szasz Professore Emerito di Psichiatria all’Università di Syracuse, nello Stato di New York e fa parte della Chiesa di Scientology.

La mostra proponeva 15 documentari riguardanti la storia della psichiatria, che ne denunciavano le ingiustizie commesse nel corso del tempo in nome della ricerca e del guadagno. Oltre a parlare della storia della psichiatria, passando inevitabilmente per le pratiche eugenetiche, i documentari fanno molta attenzione allo stretto collegamento che c’è tra psichiatri (americani, nella fattispecie) e case farmaceutiche, nonché sul grave problema in cui riversano i bambini americani sulla diagnosi della sindrome da deficit di attenzione e iperattività, meglio nota come ADHD o ADD e per la quale milioni di bambini sono sottoposti a cure psichiatriche che li danneggiano, fino a portarli spesso al suicidio o a renderci spettatori di spiacevoli fatti di cronaca. Ovvero esattamente le cose che tu hai postato.




Quindi dire che unendo i numeri con un trattino abbiamo forse identificato chi è l’autore del primo scritto a cui hai fatto riferimento nell’apertura del 3d. Stiamo parlando di una ipotesi complottista sostenuta da una chiesa (Scientology). Chiesa he utilizza dei fatti indubbiamente esecrabili della storia della psichiatria e della pratica psichiatrica costruendo un assioma. E che sposa una campagna ben precisa schierandosi contro il trattamento dell’ADD.





Per me, viziata dai miei personali confiitti di interesse, qualsiasi cosa sia proposta su una base religiosa, di misticismo, non ha valore alcuno in quello che è un problema di natura clinica. Ora, nella massima libertà delle convinzioni di tutti, ognuno può decidere a chi affidare sé stesso, se alle parole di un medico, con tutti i limiti e i conflitti di interesse veri o presunti, dichiarati e non, ma anche a uno stregone o a un cartomante. Ma se io ritengo e lo ritengo che ci troviamo di fronte a qualcosa di subdolo, che fa proselitismo e denari utilizzando argomenti in cui può esserci perfino una verità storica o che si demonizzino uno o più farmaci o una o più terapie senza uno straccio che sia uno di verità scientifica che non sia quella stessa verità che ad oggi offre la medicina ufficiale (ovvero ad esempio gli effetti collaterali dei farmaci), nonché sfrutti eventi scollegati tra loro e ricollegati attraverso un sapiente mix persuasivo, io ripeto e ripeterò sempre che trattasi di fede (nello specifico ci metto la connotazione negativa settarismo), che troppo spesso è orba da un occhio e dall’altro, e che la fede, qualsiasi essa sia, deve stare ben lontana dalla scienza medica.








Devadasi, schiave della Dea



“Pensa che la tua vita non ti appartiene. Sei come un tempio nel quale devono accedere tutti e da ogni parte. Questa è la volontà di Yellamma e per questo sei stata messa al mondo”.
Francesca Sassano, La donna d’angolo, Ed. I libri di PAN, Firenze 2007




A causa della natura clandestina dell'industria del sesso e anche per la varietà di gamma e la distribuzione geografica delle prostitute, è impossibile avere una stima precisa del numero di prostitute dell’India contemporanea. Gilada stima il loro numero in 100.000 a Bombay, 100.000 a Calcutta, 40.000 a Delhi, 40.000 e 13.000 ma questi dati sono considerati sopravvalutati da alcuni studiosi e sottovalutati da altri.


L'avvento dell'AIDS ha generato pochi studi empirici, unitamente ai programmi di intervento nelle zone a luci rosse di alcune grandi città.I risultati di questi studi confermano il luogo comune che le prostitute generalmente vivono in ambienti fatiscenti e malsani. Una parte importante di ciò che i loro clienti pagano viene trattenuto da protettori, padroni di casa, tenutarie, finanzieri e poliziotti. Spesso non ricevono un'alimentazione sufficiente. A causa del forte pregiudizio nei loro confronti non possono usufruire delle strutture sanitarie del governo e devono dipendono per lo più locali ciarlatani che si fanno pagare cifre esorbitanti per trattamenti e medicinali. Una gran parte di loro soffre da vari tipi di malattie sessualmente trasmissibili. La maggior parte di loro sono costrette ad esercitare questa professione a causa di circostanze avverse, in particolare il 59% delle prostitute sono state abbandonate dai loro mariti.Le cause della prostituzione sono da ricercare nei maltrattamenti da parte dei genitori, nell’induzione alla prostituzione da parte di sfruttatori, nella prostituzione familiare, nel mancato matrimonio, nell’assenza di educazione sessuale, nell’incesto prima e nello stupro, nel matrimonio precoce e nell’abbandono del coniuge o nella vedovanza, nell'ignoranza e nell'accettazione della prostituzione. Molte di loro erano originarie del distretto di Murshidabad, dove molte giovani donne provenienti da famiglie povere si prostituiscono per inviare denaro alle loro famiglie. La maggior parte di loro viene avviata involontariamente alla prostituzione ed entra in un sistema di sfruttamento.Si stima che circa l'85% di tutte le prostitute di Calcutta e Delhi vengano avviate alla prostituzione in tenera età e il numero delle prostitute bambine è in crescita anche per l’impulso dato dall’aumento del turismo sessuale. Le prostitute bambine provengono da aree a medio-basso reddito, baraccopoli urbane e aree rurali, e sono indù nell’85% dei casi, nella gran parte dei casi sono intoccabili.L’origine del Devadasi si perde nel passato. Il termine Devadasi è stato ritrovato in documenti datati fin dal dodicesimo secolo e trae origine dalla parola “dedi “, che significa dio, e da “dasi” che significa schiava.Fin dal 300 dC era consuetudine consolidata in India che giovani ragazze fossero chiamate a svolgere nei templi la danza Odissi, una pratica rituale a volte eseguita come intrattenimento per la corte del Raja e, o doveri religiosi (seva). Erano donne dotate di una grande cultura umanistica che compivano attraverso la danza rituale una missione, un vero dovere morale e religioso (dharma) nei confronti della comunità. Le Devadasi avevamo come la regina il privilegio di non diventare mai vedove e di non portare mai i segni della vedovanza, e per questa ragione erano considerate di buon auspicio.Si ritiene che esse fossero in origine caste vergini dedicate unicamente agli dei, ma successivamente fossero rese oggetto di godimento sessuale per i sacerdoti del tempio e dei pellegrini diretti nei templi indù. Il sistema Devadasi comporta un rito religioso in cui ragazze e donne sono sacrificate attraverso il matrimonio a divinità, diventandone le loro spose. Esse vengono chiamate a svolgere diversi compiti nei templi (seva), compiti che, nel tempo, hanno incluso prestazioni sessuali nei confronti di sacerdoti e patroni dei templi. Per via della sacralità di questa funzione e del fatto che le Devadasi incarnano una forma di divinità, questa attività è stato definita " prostituzione sacra".L’indistinguibilità tra queste figure e quelle di prostitute agli occhi degli occidentali rende ragione del fatto che questa pratica venisse bandita nel 1920 con l’abolizione del sistema Devadasi. Il ruolo delle Devadasi è attualmente quello di schiave il cui dovere religioso le obbliga ad essere disponibili a rapporti sessuali con qualsiasi uomo di qualunque origine e casta.Le Devadasis sono, quindi schiave, e sono Devadasi il 70% delle bambine prostitute indiane. Alcuni segni che appaiono sulla bambina sono la testimonianza che questa è stata scelta da Yallama per diventare schiava della dea, e tra questi segni il più comune è l’apparizione di un nodo nei capelli detto jat. Da questo momento alla bambina non vengono più tagliati i capelli e nelle campagne non è difficile notare bambine dai capelli lunghissimi che verranno scelte da veterane che fingendo di cadere in trance mistico scelgono le più belle tra le bambine e consegnano loro la collana simbolo della loro iniziazione a Devadasi. In realtà il fatto che una bambina sia scelta per essere Devadasi rappresenta una occasione di miglioramento del tenore di vita della sua famiglia di origine perché ai genitori viene versata una parte (misera) dei guadagni della bambina. Una bocca in meno da sfamare e una dote in meno sono anche motivi che spingono le madri ad annodare i capelli delle figlie creando uno jat.Nel caso la propria figlia sia prescelta, madri e padri sanno che il loro livello di vita migliorerà, perché una pur misera parte dei guadagni della bambina sarà loro versata, ottenendo in cambio il solo dovere di dare il nome della figlia ad una delle future nipoti. Le bimbe, quasi sempre di età inferiore ai sette anni subiranno ogni tipo di abuso, e le loro madri non sapranno mai più nulla di loro.Il sistema Devadasi è attualmente illegale e leggi contro sono state approvate in tutti gli Stati indiani. Studi sul sistema Devadasi nell'India contemporanea sottolineano che esso ancora prevale in quanto istituzione, in alcuni templi indù, soprattutto in Karnataka e Andhra Pradesh. Gilada e Thakur riportano che ogni anno circa 10.000 giovani ragazze provenienti da famiglie povere sono sacrificate come Devadasis alla dea Yallama e ipotizzano che la maggior parte prostitute nei distretti di frontiera del Maharashtra e Karnataka siano Devadasis. Nel Karnataka, la forma più comune di lavoro sessuale tradizionale è associata con il sistema Devadasi.La legge non punisce la prostituzione di ragazze oltre i 18 anni, ma rende i bordelli illegali, così come lo sfruttamento della prostituzione, l’induzione alla prostituzione e l’adescamento in luoghi pubblici. La legge non punisce i clienti e molto raramente si arriva alla condanna per questi reati, mentre il dilagare della corruzione tra le forze di polizia alimenta un sistema di falsificazione nelle identificazione delle ragazze identificate nei bordelli, tanto che in uno studio eseguito per valutare l’operato della polizia nella repressione del fenomeno della prostituzione infantile su un campione casuale di 28 su 68 bordelli ben il 60$ delle prostitute erano bambine.Molto limitato l’uso del preservativo tra le prostitute in India. L’aumento della prevalenza di casi di HIV-positività tra le prostitute della zona a luci rosse di Bombay hanno indotto il governo indiano ad avviare progetti di intervento per sensibilizzare le prostitute all’uso del preservativo e per distribuire condoms a prezzi ridotti. Il problema principale risiede nella mancata volontà dei clienti di usare il preservativo e nell’impossibilità delle prostitute a rifiutare i clienti


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La prima volta che ho sentito parlare delle spose di Yallama è stato molti anni fa in occasione della lettura della storia, introvabile in rete malgrado l’abbia setacciata per giorni, della morte di una prostituta bambina indiana, Devadasi, intoccabile. Aveva 4 anni.

Fulvia

(Gilada IS. Women in prostitution in urban centres: Study perspectives and positional problems for social interventions. Paper presented to the NGO Forum of World Conference to Review and Appraise the Achievements of the United Nations Decade for Women: Nairobi; July, 1985. p. 5-26)(Ghosh M, Das NK. Anonder opekshay: Chondalika Ekdal Khokkosh [Report on prostitution in Calcutta, in Bengali]. Kolkatta Development Dialogue: Kolkatta; 1990)(Mukhopadhyay KK. Girl prostitution in India. Soc Change 1995;25:143-539)(Nag M. Sexual behaviour in India with risk of HIV/AIDS transmission. Health Transition Rev 1995;5:293-305)(Gilada IS, Thakur V. Devadasis: In : Exploitation of Women and Children: Its Causes and Effects. Proceedings of the Asian Regional Conference, Delhi, 17-19 November. International Abolitionist Federation: Delhi; 1988)(Blanchard JF, O'Neil J, Ramesh BM, Bhattacharjee P, Orchard T, Moses S. Understanding the social and cultural contexts of female sex workers in Karnataka, India: Implications for prevention of HIV infection. J Infect Dis 2005;191:S139-46).(Debabrata R. When police act as pimps: Glimpses into child prostitution in India. Manushi 1998;105:27-31).(Nag M. Sexual behaviour in India with risk of HIV/AIDS transmission. Health Transition Rev 1995;5:293-305)






La pietra e la corda




Cala la mobilitazione sul caso di Sakineh, da quando la condanna a morte per lapidazione è stata trasformata in condanna a morte per impiccagione. Cambia anche il reato, dall'adulterio all'omicidio. Alcune riflessioni si impongono a questo punto.

Esiste una modalità di erogazione della morte che risulti più gradevole rispetto ad un'altra? E perché?

La lapidazione è indubbiamente una morte atroce, lenta e dolorosissima. Quando sono le donne ad essere lapidate il loro corpo viene seppellito in una buca molto più profondamente di quanto venga interrato il corpo di un uomo, infatti se il condannato riesce a liberarsi ha salva la vita. Nel caso di una donna si vuole essere ben certi che non possa liberarsi. A differenza di quanto avviene per i condannati uomini, il viso delle donne non viene coperto. Sono quindi ben visibili i traumi che progressivamente si stampano sul volto e sulla testa della condannata, e le espressioni di terrore, le smorfie dell'agonia. Non sono dettagli.

Ma anche la morte per impiccagione è indubbiamente molto crudele. O il condannato ha la "fortuna" di rompersi il collo nell'apertura della botola o la morte sopraggiunge per soffocamento e possono essere necessari anche quindici lunghissimi minuti per morire. Curiosità macabra, molto dipende dal tipo di corda e dal tipo di nodo. Lasciare un cappio allentato favorisce una morte rapida, serrarlo bene intorno al collo invece una morte lunga. Rimane la macrabra anedottica della morte di Eva Dugan, condannata alla pena capitale in Arizona negli anni ‘30, che venne decapitata durante l’impiccagione. Le persone che erano presenti all'evento videro rotolarne la testa ai loro piedi.

Quindi, che cosa è cambiato per fare calare l'attenzione mediatica sul caso Sakineh? E' cambiato che la morte per impiccagione ha il sapore di una morte occidentale. Tutti noi abbiamo visto film western in cui si impiccavano i condannati al primo albero, nelle versioni patibolo o cavallo. Molto americano. Già. Sottile l’ironia del regime iraniano, che dopo l'ondata di proteste internazionali non fa altro che modificare la modalità di morte e trasformarla in qualcosa che è presente o è stato presente fino a non molto tempo fa anche in quella che viene considerata la migliore democrazia del mondo, gli Stati Uniti. Che prevedono in molti stati la pena di morte per omicidio, anche per impiccagione.

A questo punto appare chiaro che difendere Sakineh non ha più la valenza antislamica che possedeva in origine, perché sigilla le bocche di tutti coloro che non protestano contro la pena di morte in ogni parte del mondo comunque venga erogata.

Altro elemento di riflessione è che la pressione mediatica è riuscita ad essere ascoltata perfino dal rigidissimo governo iraniano, che ha dovuto prendere atto della mobilitazione internazionale. Possiamo dire che il monolitico regime sa che il mondo esterno è in grado di avere informazioni e esercitare pressioni. La presa d’atto ha comunque il sapore della beffa, perché il governo iraniano ha posto il suo strumento di giustizia sullo stesso livello di quello americano. Allineandosi. Noi come loro. La mossa del cavallo, direbbe Camilleri.

Pesano sulla vicenda di Sakineh tutta una serie di incongruenze e di doppiopesismi. Mentre la mobilitazione internazionale ha speso e spenderà, con ragione, parole ed iniziative per Sakineh, è morta quasi nel silenzio generale Teresa Lewis, mandante di omicidio (gli esecutori materiali dell'omicidio sono stati invece condannati all'ergastolo) applicando la pena capitale malgrado la donna possedesse un QI di 72. Due punti sopra l'incapacità di intendere e volere, ovvero conscia del suo operato grazie a quei due punti generosamente concessi da madre natura o da chi per lei. Nessuna mobilitazione internazionale per Teresa, nessuna Carlà minacciata ed insultata pubblicamente.

Dietro queste due vicende di condanna a morte, una eseguita e una no, ci sono delle verità che non possono essere dette.

Ovvero che esiste una morte buona erogata da un governo buono, democratico, garantista, e una morte cattiva erogata da un governo cattivo.

Io ho firmato e rifirmerei l'appello per Sakineh, pur non essendo aprioristicamente contraria alla pena di morte (non lo era nemmeno il Beccaria). Ma non ho trovato un appello da firmare per Teresa Lewis, e tutto questo mi porta a dire, credo onestamente, che la mia firma esprime solamente la scelta tra la pietra e la corda.

Le bambine mancanti





Le informazioni sulla pratica dell’infanticidio femminile in India prima dell’arrivo del governatorato inglese erano piuttosto scarse. Era noto che fosse diffusa in tutti gli stati del nord e del centro tra le caste alte e di origine guerriera ( Rajput, i Jat, gli Ahir, i Gujar e i Khutri). 


Nel 1808 nell’attuale provincia di Vadovara (precedentemente Baroda), in 1.250.000 famiglie di Jadeya Rajput venivano uccise ogni anno circa 20.000 neonate. In Punjab nel 1851 nella casta Sikh dei Bedi non nascevano femmine da 400 anni, mentre in Uttar Pradesh nel 1856 in 78 villaggi su mille bambini di età compresa tra 0 e 6 anni 721 erano maschi e 129 femmine (Vishwanath L.S., "Effort of Colonial State to Suppress Female Infanticide", Economic and Political Weekly, 33, 1998, n. 19, pp. 1104-112.).


Nel 1870, con il Female Infanticide Act, il governo Britannico prese posizione contro l’infanticidio delle femmine rendendolo un atto criminale punibile dalla legge. Il risultato di questa legge fu che non risolse il dramma dell’infanticidio ma rese la pratica più segreta, rendendo di fatto impossibile una stima numerica del fenomeno e ancor meno la disponibilità di dati provenienti da organi ufficiali di governo. Sono comunque presenti dati da studi svolti da organizzazioni accademiche, associazioni non governative, ricercatori indipendenti o commissionati da uffici governativi specifici dei singoli stati, riguardanti aree ristrette già riconosciute per l’elevata incidenza della pratica, prevalentemente nelle regioni a Nord dell’India.


Ci sono infatti differenze tra il nord, dove lo squilibrio demografico a favore dei nati di sesso maschile è ampiamente documentato, e il sud dell’India. La diversa incidenza può essere in parte spiegata da ragioni storiche. Nell'India del Nord si sono succedute moltepl invasioni con la necessità di una forte presenza di guerrieri uomini per la difesa del territorio, laddove le donne, oltre a non essere utili nella difesa rappresentavano l’anello debole della struttura sociale in quanto necessitavano di protezione, oltre che essere colpevoli di macchiare l’onore della famiglia quando violentate dagli invasori. (Patel R., "The Practice of Sex Selective Abortion in India: May You be The Mother of a Hundred Sons", Carolina Papers, 3, 1996, n. 1.). 


Nel distretto di Bhindin in cinque villaggi caratterizzati da sex ratio sfavorevole al genere femminile una ricerca evidenziò la presenza di un numero di donne particolarmente basso tra alcune caste: la discrepanza di genere maggiore venne rilevata tra i Gujar, con 392 donne ogni 1000 uomini, seguiti dagli Ahir con 400/1000 e dai Rajput con 417/1000. Queste osservazioni concordano con l’interpretazione del fenomeno data da Patel, poiché le caste citate hanno origine guerriera e appartengono ad alti strati della società. Inoltre queste stesse caste appartengono a quelle citate nei rapporti inglesi del periodo coloniale come ad elevata prevalenza di infanticidio, confermandone così la continuità storica. (Premi M.K., Raju S., "Born to Die: Female Infanticide in Madhya Pradesh", in Search Bulletin, 13, 1998, n.3, pp. 94-105).


Anche la tradizione secolare dell'ipergamia, ovvero l’usanza di dare in moglie le donne ad uomini di status sociale superiore rendeva e rende difficile, allora come oggi, ed economicamente estremamente oneroso per una famiglia di alta casta, trovare uno sposo adatto per una figlia, anche perché durante la cerimonia matrimoniale viene stabilita la superiorità della famiglia dello sposo rispetto a quella della sposa. Il matrimonio di molte figlie ha la valenza di ripetute sottomissioni che minano il prestigio e la fierezza delle caste guerriere.


L’Adhiti, un’organizzazione non governativa, è impegnata dello stato del Bihar con numerosi progetti di istruzione e di finanziamento diretti alle donne, e tra questi progetti iniziò nel 1990 un programma di addestramento sanitario rivolto alle 68.000 levatrici operanti in sette distretti geograficamente contigui dello stato. Attraverso questo progetto emerse il ruolo svolto dalle levatrici nella pratica dell’infanticidio femminile. Il compenso percepito per l’assistenza al parto infatti è doppio se il nascituro è maschio, e nel caso sia femmina, sale di dieci volte se al momento del parto “risolve” l’imbarazzante problema della nascita di un figlio di sesso sbagliato. Sono le stesse levatrici ad ammettere di assassinare almeno due bambine a testa al mese, per un numero orientativo di 1.632.000 infanticidi annui (Sudha S., Irudhaya Raja S., "Intensifing Masculinity of Sex Ratio in India: New Evidence 1981-1991", Working Paper, 288, Thiruvananthapuram, Centre for Development Studies, 1998.).


Le modalità con le quali viene erogata la morte sono terribili e esulano da questo mio scritto, ma comprendono avvelenamento, soffocamento, annegamento, la morte per mancata assistenza. Non sempre la morte sopraggiunge in maniera rapida ed indolore.L'infanticidio è un metodo di pianificazione familiare e poiché non si desidera limitare in toto il numero delle gravidanze ma solo la presenza di figlie femmine l'uso di anticoncezionali non viene preso in considerazione.……Dal 1995 Mumbai è il nome ufficiale della città di Bombay, tredici milioni di abitanti. Il nome "Mumbai" etimologicamente deriva dall’unione di due parole in lingua marathi, il nome della dea indù Mumbadevi e da Aai, madre. Un lavoro pubblicato nel 1988 (Gangrade, K.D. (1988). Sex Determination – A Critique. Journal of Social Change, Vol. 18 No. 3, Pp. 63-70) ha evidenziato che su 8000 feti abortiti nei sei ospedali della città dedicata alla dea-madre 7999 erano di sesso femminile.


La conoscenza di metodi per la determinazione del sesso del nascituro hanno reso possibile la nascita del fenomeno dell’aborto selettivo come strumento di soppressione delle femmine, fenomeno così diffuso da indurre il governo indiano nel 1994, con una legge, a vietare la determinazione del sesso del feto e a punire l’uso non legittimato da motivi di ordine clinico di tecniche di diagnosi prenatale. Questo divieto non ha prodotto alcun risultato e non c’è mai stata dal 1994 ad oggi nessuna condanna per violazione del Pre-Natal Diagnostic Techniques, né tra i medici né tra le gravide (Mudur G., "Indian Medical Authorities Act on Antenatal Sex Selection", British Medical Journal, 14 Agosto 1999). Il divieto di utilizzare metodiche come l’amniocentesi col solo scopo di determinare il sesso del feto viene seguito prevalentemente nelle strutture pubbliche, favorendo il fiorire di strutture private che aggirano la legge e alzano il prezzo degli esami.Il metodo più diffuso di diagnostica prenatale utilizzato allo scopo di identificare il sesso fetale è l’amniocentesi che viene effettuata in maniera estensiva perfino in aree rurali e a volte in condizioni di assistenza sanitaria pessime, seguito dall’ecografia prenatale, che per la facile trasportabilità delle apparecchiature può raggiungere anche angoli remoti dell’India.


La pratica dell’aborto selettivo attenua la responsabilità morale che deriva dall’infanticidio delle femmine. Pur essendo visto come un crimine secondo lo studio delle sacre scritture hindu, e pur essendo moralmente esecrabile in molti contesti sociali indiani, a differenza di quanto succede con l’infanticidio, l’aborto non è illegale in India e può essere eseguito a discrezione del medico entro la ventesima settimana di gestazione.In un’intervista condotta tra donne indiane del Punjab, sorprendentemente, nonostante il 72% delle intervistate ritenesse l’interruzione della gravidanza un peccato assimilabile all’omicidio e un rifiuto al compimento della volontà divina, il 95% delle stesse donne si dichiarava favorevole all’aborto se il feto fosse stato di sesso femminile (Kaur M., "Female Foeticide: A Sociological Perspective", The Journal of Family Welfare, Marzo, 39, 1993, n. 1, pp. 40-43.).Non è possibile, anche data la recente comparsa della pratica dell’aborto selettivo e la relativa mancanza di dati, conoscere il numero di feti abortiti ogni anno in India dopo determinazione del sesso del nascituro, anche perché si ipotizza un numero elevato di casi non notificati poiché le attrezzature per questa pratica possono consistere in un ecografo portatile e in qualche ferro chirurgico. Secondo una stima autorevole ogni anno almeno 5.000.000 di feti femminili vengono abortiti (Ramachandran S., "Indian Religious Leaders Decry Killing of Unborn Baby Girls", CNSNews.com, 27 Giugno 2001.).….


Un piano di azione nazionale diretto a favore delle bambine è stato formulato nel 1992 e mira a garantire la parità di stato per le bambine, fissando obiettivi specifici per la loro sopravvivenza dignitosa. Tuttavia, l'obiettivo della legge non è stato raggiunto a causa di lacune legislative e per la mancanza di una sua corretta attuazione. Anche se la legge è un potente strumento di cambiamento essa da sola non è in grado di modificare questo enorme problema umano e sociale. L’essere femmina è uno svantaggio non solo per considerazioni di natura economica ma anche per fattori socio-culturali, come ad esempio la trasmissione del lignaggio attraverso i maschi. Il lavoro coordinato di leader politici e religiosi, di organizzazioni di volontariato, dei media, di operatori della sanità e delle forze dell’ordine che sé colto a promuovere profonde modificazioni di pensiero che possano cancellare la discriminazione delle donne in India.La discriminazione infatti accompagna tutta la vita di una donna indiana, fin dalla sua origine, in ogni fase, e la discriminazione di genere è talmente profonda che secondo una estrapolazione di dati ottenuta analizzando il Census of India del 2001, a circa 30 milioni di donne, per mano di un altro essere umano, non è stato concesso né il diritto di nascere né quello di sopravvivere al primo anno di vita.

La ricetta del giorno: il Trota al Carroccio


Difficoltà: media superiore
Proprietà organolettiche: indigesta
Costo: 22.000 euro al mese
Ingredienti
Un Carroccio
Un Trota, d’ Itaglia media
Prezzemolo, Sale. Olio
1 Pulire il Trota (l’operazione potrebbe richiedere un po’ di tempo). Evisceratelo, squamatelo. Non è necessario togliere il cervello.
2 Mettere all’interno del pesce abbondante sale. Il Trota è notoriamente pesce scipito ma nonostante questo piace ai giovani ed è consigliato nei momenti di affaticamento mentale, ad esempio esami scolastici, per il suo leggendario contenuto in fosforo.
3 Guarnite con ciuffi di prezzemolo. Il verde (particolarmente nella tonalità verde Lega) permette di rendere gradevole l’aspetto del Trota, che di per sé è piuttosto bruttarello.
4 Avvolgetelo in un bel Carroccio. Come per il prezzemolo, la scelta del Carroccio è fondamentale per la riuscita del Trota. Infatti, solo un Carroccio su misura permette che si liberino nell’aria aromi ed umori tali da giustificare il costo, effettivamente un pelino oneroso, della pietanza in questione.
5 Lasciatelo cucinare dolcemente. Non va assolutamente punzecchiato coi rebbi della forchetta. Il Trota ha i suoi tempi, che vanno rispettati. Prima o poi sarà preparato. In genere al terzo-quarto tentativo.
6 Il Trota è servito. Potete finalmente presentarlo (sempre se non ve ne vergognate) in tavola.



Quando la malattia è rara


In Italia ci sono malati che non sono come gli altri. Sono i portatori delle cosiddette malattie rare, in altre parole quelle malattie che colpiscono meno di una persona su 2000; il 70% dei casi riguarda l'età pediatrica. Un piccolo esercito di due milioni di persone in Italia per oltre 6000 patologie diverse, la cui origine è genetica nell’80% dei casi. Generalmente sono malattie croniche, spesso degenerative, disabilitanti e ad elevato impatto psicologico e sociale.
Certamente di malattie rare ne abbiano sentito parlare, così come di” farmaci orfani” (quelli che non sono sviluppati perché il mercato è considerato insufficiente), ma ci siamo mai veramente chiesti che cosa significa avere la doppia sfortuna di essere ammalati di qualcosa di “non convenzionale”?
Chi soffre di malattie rare ha difficoltà di accesso alle informazioni, ai farmaci, ad una diagnosi tempestiva, a cure adeguate e soprattutto a cure innovative.
Per avere la diagnosi corretta di malattia rara occorrono mediamente tre anni, ma anche sette. La diagnosi è molto spesso posta da Centri specializzati ai quali il paziente può giungere dopo molti insuccessi e pellegrinaggi per la mancanza di collegamenti tra Centri specializzati e medicina del territorio. Sorprendentemente spesso sono le associazioni di malati e perfino il web a mettere in contatto il malato con il centro di riferimento. Un passaparola che supplisce la mancanza di un percorso finalizzato e strutturato tra territorio e specialistiche. Sono i Centri Specializzati a riconoscere le malattie rare in più di 8 casi su 10, laddove medico di famiglia e pediatra sono in grado di porre diagnosi solamente in poco più del 4% e del 18% dei casi rispettivamente. Il risvolto pratico di queste mancate diagnosi è di perdere tempo (e risorse) senza conoscere specificatamente quale sia il nemico da affrontare.
Una volta che faticosamente è posta la diagnosi di malattia rara, che succede? Spesso, e in alcune statistiche si parla di più del 65% dei casi (pur ricordando che queste statistiche sono limitate e quindi poco attendibili) il SSN non considera rimborsabili i farmaci indicati per il trattamento (in pratica la non concessione della classe A), e capita che i costi per il loro l’acquisto debbano essere sostenuti dal malato. Nel dieci percento dei casi si verifica l’abbandono delle terapie perché il malato non è in grado di farvi fronte economicamente. A volte parliamo di farmaci salvavita. Ci sono altre variabili oltre al mero costo dei farmaci, che rendono in alcuni casi superiore ai 7000 euro l’anno le spese vive sostenute dai pazienti e non rimborsate. A formare questa cifra concorrono ad esempio i costi dovuti a spostamenti e pernottamenti in Centri non facilmente raggiungibili, spesso raddoppiate dalla necessità di un accompagnatore, la perdita di giornate lavorative oltre che l’esecuzione di esami che non sono coperti dall’esenzione alla partecipazione alla spesa sanitaria per patologia.
Il nodo davvero cruciale è quello dei farmaci ad alto costo, che esistono, andrebbero concessi ma non sono erogati o almeno non lo sono in maniera uniforme sul territorio e trasparente, soprattutto per i pazienti non pediatrici. Ricordavamo prima il lungo tempo necessario per arrivare alla diagnosi. A volte non basta, il malato ha finalmente la diagnosi, il farmaco esiste, è in prontuario, è perfino a costo zero per il paziente (pur se ad alto costo per il SSN) ma non viene prescritto. Nella pressoché totalità dei casi il problema è rappresentato dai costi, dall’impossibilità di pianificarli (anche per la difficoltà di conoscere l’aspettativa di vita dei malati e in assenza di protocolli uniformi, dato che l’esperienza di trattamento è molto limitata) e dalla presenza di un tetto massimo di spesa. Inoltre, per effetto del federalismo sanitario assistiamo a diritti garantiti in modo variabile da regione a regione: una patologia può semplicemente “sparire” in una regione per esclusione dai LEA regionali (Livelli Essenziali di Assistenza) e perdere così ogni riconoscimento.
Insomma una situazione molto complessa, burocratizzata, con situazioni paradossali che deve essere affrontata e risolta in modo urgente e definitivo, tenendo presente alcuni punti fondamentali. Non è eticamente accettabile che l’appartenenza a regioni diverse possa creare differenti possibilità di accesso alle terapie per le malattie rare. Allo stesso modo è imperativo garantire la massima trasparenza nella gestione e nell’utilizzo delle risorse che sono destinate alle malattie rare. Bisogna assicurare la presa in carico dei malati creando percorsi di diagnosi e terapia integrando i Centri specialistici con la medicina del territorio per non frammentare o rendere macchinosi i percorsi stessi. Bisogna garantire l’accesso alle terapie, che in molti casi sono disponibili, semplificando le norme per la loro erogazione e attribuendone il carico al SSN, senza discriminazioni territoriali e fornendo il meglio ai malati in termini di farmaci innovativi. E non ultimo, occorre promuovere la ricerca sulle malattie rare e la diagnostica precoce, perché in molti casi col farmaco adatto fornito, tempestivamente, si ottiene il vantaggio di un malato meno malato, che non ha bisogno di assistenza e presidi a maggior costo, in altre parole di un malato che può essere parte attiva nella società, fornendo in termini di ricchezza più di quanto costi.
http://www.iltuoforum.net/forum/l-argonauta-f35/l-argonauta-n-2-quando-la-malattia-e-rara-t1416.html

Le relazioni pericolose


La notizia esce sul Corriere della Sera, spazio salute. La prestigiosa rivista Lancet Oncology pubblica un articolo di cui si sostiene che molecole ad azione antipertensiva (quelle che agiscono bloccando il sistema renina-angiotensina - ARBs), possano aumentare nei pazienti trattati la probabilità di sviluppare il cancro in maniera statisticamente significativa (cito testualmente dall’articolo, Patients randomly assigned to receive ARBs had a significantly increased risk of new cancer occurrence compared with patients in control groups). La pubblicazione termina dicendo che altri studi sono necessari al fine di confermare il dato emerso. Gli ARBs sono utilizzati per trattare l’ipertensione, nei pazienti con scompenso cardiaco, e come farmaco antipertensivo di elezione nei pazienti diabetici. La Boehringer Ingelheim dichiara in un comunicato di essere fortemente in disaccordo con la pubblicazione di Lancet Oncology e conferma la sicurezza del Telmisartan, un ARBs tra le sue molecole di punta, ponendo l’accento che sono circa trentacinque milioni i pazienti al mondo che assumono il solo Telmisartan nel mondo e che tantissimi studi sugli ARBs ne hanno avvalorato le loro peculiari caratteristiche di efficacia e tollerabilità.
Per una strana associazione di idee la lettura di quest’articolo mi riporta alla mente una storia dimenticata.
Qualcuno forse ricorderà un nome, Thalidomide, e poi un altro, focomelia. Nel 1954 la chimica Grünenthal presentò all’OMD un farmaco ad azione sedativa e antiemetica, il Thalidomide, che uscì sui mercati dopo tre anni di sperimentazione, e che fu assunto da circa cinque milioni di persone, tra le quali donne in gravidanza. Solo dopo cinque anni fu sollevato il dubbio che potesse esserci una relazione tra assunzione di Thalidomide in gravidanza, morte perinatale e nascita di bambini con gravi malformazioni. Le donne gravide che avevano assunto il Thalidomide partorirono neonati con gravi alterazioni dello sviluppo degli arti (dall’amelia, assenza degli arti soprattutto superiori, molto spesso bilaterale, alla focomelia, riduzione della lunghezza delle ossa lunghe degli arti). Si trova una traccia in alcuni documenti dell’epoca che il Thalidomide potesse essere stato prodotto come antagonista del gas nervino sarin dalla Rhône-Poulenc durante la seconda Guerra mondiale, mentre l’Azienda era sotto il controllo nazista, e ceduta in seguito alla Grünenthal. Il Dottor Martin Johnson, direttore del Thalidomide Trust affermò: “Appare sempre più probabile che il thalidomide fu l’ultimo crimine nazista”.
Il processo alla tedesca Grünenthal durò ben nove anni e finì dichiarando i dirigenti della farmaceutica non penalmente responsabili (7 dirigenti accusati di omicidio colposo e di comportamento contrario all’etica medica), mentre la Grünenthal s’impegnò con un accordo privato a risarcire le vittime costituitesi parte lesa nel processo.
Nel 1962 (Gazzetta Ufficiale n. 186 del 1962), con sei mesi di ritardo rispetto a quando ordinato dai ministeri analoghi dei Paesi europei in cui era stato distribuito il farmaco, il Ministero della Sanità Italiana ne ordinò il divieto del commercio e il ritiro dal mercato italiano, dove erano presenti 10 specialità con nomi diversi, sintetizzati da sette farmaceutiche italiane.
La stima dei bambini che hanno riportato danni per l’assunzione materna di Thalidomide è di circa 12.000, in Italia stime prudenti parlano di un numero di casi compreso tra 600 e 700, ma non esiste un registro che possa quantificarli esattamente. Il Thalidomide non fu mai sperimentato su animali in stato di gravidanza prima che fosse approvato il suo impiego nelle donne incinte ma solo su animali non gravidi, con risultati negativi. Gli studi con i quali si era autorizzata la messa in commercio del Thalidomide erano di bassissima qualità.
Perché raccontare questa storia dopo cinquanta anni? Per parlare di farmaci e ricerca scientifica e dei rischi che potrebbero emergere dalla presenza di conflitti d’interesse in questo settore, come quello, non così remoto nella nostra storia, di avere un farmaco potenzialmente dannoso nel nostro armadietto dei medicinali (e mi auguro che non sia il caso degli ARBs).
Nella ricerca scientifica sono presenti interessi primari, quali il paziente e il progresso scientifico, e interessi secondari rappresentati dal profitto economico, dalla notorietà ma anche da convinzioni politiche o religiose, in un’interazione che vede come attori il ricercatore, la scienza medica, le aziende farmaceutiche, i governi. Si parla di conflitto d’interesse quando il giudizio professionale su un interesse primario è indebitamente influenzato da un interesse secondario. Se da un lato il conflitto di interesse per un ricercatore può derivare da motivazioni carrieristiche, oltre che economiche (questo in maniera più o meno palese, basti pensare a partecipazione a congressi sponsorizzati o cessione di apparecchiature in comodato d’uso), nel caso dell’Azienda questo accade palesemente per ragioni economiche. I modi il cui si può alterare la finalità di una ricerca sono moltissimi: commissionamento di ricerche specifiche di maggiore rilevanza commerciale rispetto ad altre a minore reddito, modifica degli obiettivi di partenza (end points) di una ricerca e sostituzione con obiettivi surrogati, mancata messa a disposizione dei ricercatori dei dati bruti e accesso alla sola rielaborazione da parte dello staff statistico aziendale, possesso dei dati e conseguente mancata pubblicazione di quelli negativi, per citare i meno appariscenti. La ricerca costa moltissimo e un vasto numero di studi è prodotto per iniziativa o su commissione di industrie che hanno un forte interesse alla commercializzazione di nuovi farmaci o di nuovi prodotti tecnologici, e un’Azienda si impegna con cifre nell’ordine di centinaia di milioni di euro per la commercializzazione di un nuovo farmaco.
Oggi in Italia oltre il 70% della ricerca è sostenuta economicamente dalle Aziende farmaceutiche. Solamente una parte è finanziata da IRCCS pubbliche o private, aziende USL, associazioni scientifiche o Università. Il costante impoverimento dei fondi pubblici per la ricerca e il grande investimento economico svolto dalle Aziende farmaceutiche che sono soggette a regole di mercato, oltre alla presenza di una normativa che non garantisce appieno l’assenza di conflitti d’interesse, sono elementi che condizionano pesantemente la garanzia di avere studi scientifici trasparenti, e la disponibilità di farmaci la cui sicurezza sia stata davvero esplorata oltre ogni ragionevole dubbio.
Non basta una semplice dichiarazione di intenti per garantire che le parti esercitino i loro ruoli in maniera etica e trasparente. Per avere una ricerca libera da conflitti d’interesse occorre un forte ridimensionamento dei costi della ricerca, un forte aumento di fondi per ricerche potenzialmente utili ma economicamente non redditizie, la dichiarazione preventiva degli elementi di conflitto, l’accesso ai dati bruti, l’obbligo di pubblicazione degli studi interrotti per inefficacia o per eventi collaterali, il potenziamento dei Comitati Etici e l’adozione di normative internazionali di controllo e vigilanza.
Conflitto di interesse: nessuno mi ha pagato per quest’articolo, ma ammetto di averlo scritto perché sarebbe apparso su http://www.iltuoforum.net.
http://www.iltuoforum.net/forum/l-argonauta-f35/l-argonauta-nr-1-le-relazioni-pericolose-t758.html

Parker Napulitana


Ti pigliasti la Parker placcata
E pienzave “je l’aggia a’prua’”
Hai truato stu decreto infame
E te si pure mess a’ firmà
A Giorge’ tu me a fa’ capi’
In Italia ca' ce staje a ffa’
Tu si ‘o Presidente saje
ma nun me garantisce maje
avisse nu poche ‘e orgoglio tu
non firmereste niente cchiù.
Qualche vota si songhe ‘mbriache
Je pienze: “Giorgio, ma tu si’ o’ garante”
poi m’accorgo ca’ songo ‘gnorante
nun capisco ca’ staje a’ garanti’
Maje ‘na vota che in tutti chiest’anne
Nun firmaste, diceste che ssì..
‘O scudo ‘o firmaste te
pure ‘a legge Alfano ahimé
e nun ce dormo cchiu’
Je pienze ca’ tu
avisse a garantire a mme
Je pienzave: “Ca’ Costituzione
Fermeremo sciantose e gagà”
Ora je pienze c’avimm ‘o “bavaglio"
Ca’ nisciuno ce puo’ cchiu’ llua’”.
Je pienzave; “Finché ce sta’ Ggiorgio
Je credevo, e mo’ c’aggia dì
Firmasti pure ‘a cchisto te
Non tiene cchiù o’ scuorno se
‘A Parker into ‘o taschino tu
Nun saje tenerla proprio cchiu’.
(M’aggia a’ scusa’...)
Fulvia                      
www.iltuoforum.net

"Da parte mia dì loro che…”


Modena, il Comune raccoglie le dichiarazioni anticipate di volontà per i trattamenti di natura sanitaria.

Da lunedì 14 giugno sarà operativo il registro per la raccolta delle dichiarazioni anticipate di volontà relative ai trattamenti di natura medica del Comune di Modena. Con queste poche righe viene annunciata la nascita di un servizio: chi lo desidera potrà nominare due fiduciari che saranno i garanti dell’esecuzione delle proprie volontà in tema di trattamenti sanitari. Costoro si impegneranno a fare in modo che queste volontà siano applicate nel caso avvengano specifiche circostanze che il richiedente ha preventivamente indicato.
La dichiarazione anticipata di volontà rende il cittadino in grado di dire, direttamente anche se non in modo attuale, la propria accettazione o il proprio rifiuto a particolari trattamenti sanitari qualora si trovi nell’impossibilità di fornire un consenso.
Le liste approntate dal Comune saranno accessibili al medico di base, spero anche agli ospedali, e si potrà determinare rapidamente se necessario che quella persona ha presentato una dichiarazione anticipata di volontà in termini di trattamenti di natura medica. Questo registro non sopperisce l’assenza di una legge sul testamento biologico, perché nasce monca all’origine di strumenti legislativi che davvero nella pratica possano supportare gli atti derivanti da questa dichiarazione. Un consenso non attuale come questo in realtà non modificherà radicalmente le decisioni in materia sanitaria, perché senza una legge articolata sul testamento biologico la dichiarazione di volontà in tema di trattamenti sanitari rimarrà una dichiarazione d’intenti.
Le reazioni scomposte non sono tardate. "L'istituzione di un registro per la dichiarazione di volonta' di fine vita e' una forzatura ideologica e giuridica, figlia della deriva radicale che ha lo scopo di introdurre in Italia, per via surrettizia, l'eutanasia". La dichiarazione è di Isabella Bertolini, parlamentare e coordinatore provinciale del Popolo della Libertà di Modena. L’unica deriva che dovrebbe preoccupare la Bertolini è quella assistenziale che provocherà l’applicazione della manovra Tremonti in termini di politica sanitaria. Il blocco del turnover del personale rischia di provocare vuoti pericolosi nelle piante organiche degli ospedali danneggiando la qualità delle prestazioni sanitarie, lo stato di salute degli ammalati e la loro sicurezza. La Bertolini non si preoccupa del taglio dell'acquisto di farmaci ospedalieri per un valore di 600 milioni di euro l'anno, non si preoccupa di oltre un miliardo di euro in risorse sottratte al Servizio Sanitario Nazionale. Si preoccupa della forzatura ideologica, ammesso e non concesso che tale forzatura esista. Cito anche ''E' sbagliato lasciare nelle mani dei Comuni la gestione di problematiche come il fine vita, che investono la sfera etica delle persone. Cosi' si genera solo confusione nella testa dei cittadini. Questioni di tale importanza devono essere riportate all'interno dell'unica sede titolata a decidere su questi temi, ossia il Parlamento”.
Il Comune di Modena non entra nel merito di alcuna questione etica, ma fornisce uno strumento amministrativo che accerta la volontà del cittadino, la custodisce, la rende fruibile, e lo fa gratuitamente, permettendo la revoca in ogni momento, aggiornando le liste ogni due anni, senza violare alcuna legge né alcun Codice Deontologico.
La sig.ra Bertolini giudica sbagliato che i cittadini chiedano che siano rispettate le proprie volontà su quello che più hanno di sacro e inviolabile, vale a dire la concezione (etica, religiosa, umana) della propria vita e del senso della propria vita. Giudica i cittadini incapaci di affrontare temi etici, svilendone non sono la propria capacità di ragionamento ma anche i valori più profondi e radicati del singolo individuo. Brutta l’immagine del cittadino che viene fuori da queste poche righe, un individuo confuso, incapace di scegliere, che deve demandare al Parlamento la decisione finale di ogni suo atto. Quello stesso Parlamento ove giacciono abbandonate da decenni proposte di legge sul testamento biologico che non sono solo di marchio radicale. Quello stesso Parlamento i cui rappresentanti non hanno esitato un attimo a chiamare Beppino Englaro assassino in diretta TV. Quello stesso Parlamento che ha approvato in poche ore sull’onda emotiva del caso Englaro il pessimo ddl Calabrò, che nella prima stesura, poi corretta, prevedeva che nemmeno il consenso del paziente lucido avesse valore vincolante nei confronti di un trattamento sanitario. Un ddl che ha scritto norme farraginose per le dichiarazioni anticipate di trattamento (DAT) rendendole contemporaneamente non vincolanti per il sanitario. Un decreto che mostra ignoranza scientifica crassa quando dichiara che la DAT “assume rilievo nel momento in cui è accertato che il soggetto in stato vegetativo non è più in grado di comprendere le informazioni circa il trattamento sanitario” senza ricordare che lo stesso fenomeno è presente nei pazienti in coma e non solo. E mi fermo qui.
Sig.ra Bertolini, è mia profonda convinzione che l’unica persona titolata a decidere della mia salute sia io. Ne ho i mezzi e le competenze, e vorrei decidere per me e solo per me, un modo libero, consapevole, sulla base dei miei valori, delle mie convinzioni, della mia storia. Comunque Lei ha una grande opportunità se vive sotto la Ghirlandina. Lunedì il Comune di Modena Le metterà a disposizione gratuitamente questo strumento, seppure delegittimato in partenza, e potrà scegliere se usarlo, cambiare idea, fare insomma quello che alla fine è la cosa migliore. Dire quello che pensa, a chi sa che farebbe di tutto per difendere le Sue convinzioni in tema di trattamento sanitario, anche se in busta chiusa.
Vorrei però ricordarLe nella sua veste di rappresentante politico che un dibattito su questioni etiche non può partire dal presupposto che esprimere la propria volontà in merito ai trattamenti sanitari sia inopportuno, sbagliato, confondente, e che il Parlamento che Lei chiama in causa dovrebbe finalmente adoperarsi per l’approvazione di una legge largamente condivisa che ponga al centro non una corrente politica o una fede religiosa ma il soggetto e i diritti fondamentali individuali.
http://www.iltuoforum.net/forum/l-argonauta-f35/l-argonauta-nr-0-da-parte-mia-di-loro-che-t612.html

La finestra sul cortile


Nessuno di noi vorrebbe sapere la figlia brutalmente assassinata a 15 anni. Non ho mai potuto nemmeno per un attimo pensare ad altro, sentendo storie come quella di Sarah, dove, dove, dove mai potessero trovare la forza le madri, i padri, per alzarsi semplicemente e vivere. Che i loro figli si chiamassero Sarah, Chiara o Tommaso, o come vi pare, tutto quello che sento è un brivido di gelo pensando a questi genitori che proprio come me avevano fatto sogni e progetti, e da madre guardo i miei figli per rassicurami che siano lì, loro, si, loro sono lì.
Eppure la cattiveria degli uomini è tale e tanta che un figlio te lo possono strappare via da sotto le mani per farti trovare (forse) un cadavere, sepolto sotto mezzo metro di ghiaia e foglie secche, o in un pozzo, lasciando come ultimo immenso dolore il terribile incubo della violenza e della paura subite per morire, minuti che una madre e un padre non possono fare a meno di immaginare, stracciandosi l’anima.
Oltre allo strazio della perdita e dello strazio ulteriore di sapere coinvolte persone delle quali questi genitori si fidavano, si aggiunge la gogna mediatica prima (ricordo il padre di Tommy, così come la mamma di Sarah messi sotto il microscopio, troppo freddi, che nasconderanno, saranno stati loro, saranno coinvolti, e perché non urlano e non piangono, sanno qualcosa e non lo dicono) in virtù dell’audience e della tiratura, e lo sciacallaggio del dolore poi. E quando, come spesso accade, si ritrova un cadavere e un presunto assassino, succede che le foto del corpo martoriato di un figlio finiscano su un socialnetwork, che ore di registrazione siano proposte alldaylong per permetterci di spiare mimica, discorsi, chiederci se l’assassino è lui, e i “l’avevo detto io!”, e la casa, la casa dove è successo, da vedere, da fotografare, e i Garlasco, Avetrana, paesi mai sentiti nominare che diventano il cortile di casa propria.
Siamo quelli della finestra sul cortile, i Poirot del momento, esperti più del Dott. Quincy, del Dottor House, a noi CIS ci fa un baffo, tanto sappiamo tutto di DNA amplificato, sappiano di tracce almeno quanto cacciatori di frodo, possiamo trovare il colpevole, vedere il contesto sociale, immaginale le cose turpi che sono successe, seduti nelle nostre cucine coi nostri figli di fianco, si certo, perché loro sono lì. Per fortuna non sono loro.
La nostra curiosità morbosa ci porta a volere sapere di tutto di più, ed ecco che dobbiamo sentire il parere del criminologo, del legale, della vicina di casa, e meno male che ci sono quelle decine e decine di persone a correre con le loro belle Canon e con le loro cineprese, ad assaltare macchine, eroicamente, perché lo fanno per noi, perché noi dobbiamo essere informati.
In fin dei conti che ci frega se a quella mamma hanno ammazzato una figlia, se non può andare al cimitero senza trovare un rompicoglioni col microfono in mano, per potersi piangere sua figlia, suo figlio, in santa pace, noi dobbiamo scrutare e sapere, piccoli pettegoli incapaci di tenerci alla larga da un dramma oramai tragicamente consumato, in cui tutto quello che resta da sapere è semplicemente chi e quanti hanno fatto scempio di una bambina, o di un bambino, e se ci pensi bene il perché non ha nessuna importanza, visto che al mondo non c’è nessuno motivo per ammazzare un bambino, è solo crudeltà, o follia.
Noi dobbiamo sapere, e per questo agiscono in nome e per conto nostro gli avvoltoi dell’informazione, che circondano macchine spintonando vecchie donne o ragazzini, avvoltoi loro e sciacalli noi.
Un giorno ci saremo dimenticati di tutto questo, perché noi possiamo permettercelo. I nostri figli sono a casa, qua di fianco a noi, e se si ha un piccolo moto di paura basta allungare una mano per trovare il caldo contatto che ci riscalda l’anima. Loro no, non dimenticheranno. Dimenticheresti tu che ti hanno ammazzato un figlio?
Non so se nessuno tra voi sia mai andato a fare le condoglianze a un padre o a una madre che avevano perso un bambino. Io l’ho fatto. Non è come al TG, posso garantirlo. Anzi posso dire che sono stati sempre i genitori di questi bambini a fare coraggio agli altri, con piccole frasi e tra tutte ricordo “Non devi piangere, noi siamo felici che Dio ce l’abbia lasciata almeno un po’”.
No, non è come nei film, e proprio perché non è un film ma la vita di un altro, si dovrebbe avere il coraggio, il buon gusto, di non prestarsi a questo scempio. Si legge la notizia, una, se si vuole, un aggiornamento. Ma si lasci almeno alle persone un briciolo di decoro, un briciolo di pace, soprattutto a coloro che hanno perso tanto. Non posso tollerare il giornalista che chiede alla mamma “Lei perdona gli assassini di suo figlio?” come ho sentito chiedere, e quanto avrei voluto chiedere a questo fenomeno “Saresti in grado di farlo, tu?”.
Aveva ragione quella mano che sul muro di Avetrana ha scritto “Non siamo a Hollywood”. Si, non è Hollywood, non ci sono star, non è un film, scena, finzione. E’ tutto vero, tutto troppo vero, ed è già tutto successo. Non vendiamo la nostra umanità alla ricchezza di un altro, se li pubblicizzi coi telefilm i pannolini e l’acqua minerale, piccoli consigli per gli acquisti tra angeli andati e persi per sempre, ci deve essere un altro modo, diciamolo che non siamo sciacalli, siamo esseri umani, diciamolo forte che questo circo non è per colpa nostra, siamo noi a scegliere che cosa va in onda e possiamo essere migliori, più umani, e se non sappiamo come fare e come dirlo possiamo staccarci dalla finestra sul cortile, chiudere le tende, spegnere tutto, perché tutto questo non sia in nome nostro, perché non è per fortuna, la nostra vita, ma quella degli altri, ma è la vita di qualcuno non troppo diverso da noi, e non possiamo scordarcelo.
http://www.iltuoforum.net/forum/l-argonauta-f35/l-argonauta-n-7-la-finestra-sul-cortile-fulvia-t3135.html

Il limone che non è un limone, Seveso e l’odore della diossina



Sabato 10 luglio 1976 alle 8 e 50 il sostituto Procuratore della Repubblica Vittorio Occorsio viene assassinato a Roma dal gruppo eversivo di estrema destra 'Ordine Nuovo', e precisamente da Pierluigi Concutelli, per avere istruito agli inizi degli anni Settanta i processi contro 'Avanguardia Nazionale' e 'Ordine Nuovo'.
Lo stesso giorno più o meno verso mezzogiorno e mezzo cede per surriscaldamento fino a 500°C la valvola di sicurezza del reattore A101 del settore B della ditta ICMESA, presente dal 1947 nel territorio del comune di Meda, adiacente al comune di Seveso, in provincia di Milano allora e di Monza adesso. Durante l´incidente fuoriuscirono nell’aria circa 400 kg di prodotti chimici che comprendevano triclorofenolo, soda caustica e diossina con un penetrante odore di uova marce e zolfo.
La ICMESA (Industrie Chimiche Meda Società Azionaria) apparteneva inizialmente del gruppo svizzero Givaudan & C. di Vernier S.A. di Ginevra, poi acquistata nel 1963 dal gruppo Hoffmann-La Roche A.G. di Basilea. La fabbrica produceva sostanze chimiche intermedie utilizzate per la produzione di profumi, aromatizzanti, cosmetici e prodotti farmaceutici ed era stata ribattezzata fin dal 1948 dai residenti della zona “La fabbrica dei profumi” per le esalazioni maleodoranti che provenivano dall’impianto, i quali avevano più volte protestato per l’inquinamento del fiume e dell’aria, senza risultati.
I precedenti
Nel 1953, l´ufficiale veterinario del Comune di Seveso si recò per chiarimenti all’ICMESA dopo avere accertato un´intossicazione di pecore a causa degli scarichi della fabbrica ma non gli furono fornite informazioni. Due mesi dopo morirono 13 pecore che si erano abbeverate nelle acque del torrente Certesa  immediatamente a valle dello scarico delle acque di scarico dell’ICMESA ed egli chiese, dopo opportune analisi con riscontro nelle acque di acetati salicilati ed alcoli, che la fabbrica fosse classificata come “insalubre”. L’amministratore delegato rigettò la responsabilità della morte delle pecore, si impegnò a migliorare la situazione derivante dall’emissione di cattivi odori, sperando che venisse superata "quell´atmosfera di diffidenza e di critica" che non trovava nessuna ragione nei fatti "visti obbiettivamente e serenamente", considerando "assurde" le accuse mosse a un´industria che lavorava "onestamente ed in condizione di ambiente e di sanità fra le più moderne d´Italia".
Nel 1962 il sindaco di Meda invitò l’ICMESA ad adottare misure cautelari nel bruciare rifiuti, date le lamentele della popolazione che segnalavano come molto spesso in deposito di scorie a nord dello stabilimento di sviluppassero incendi di materiali di rifiuto che causavano "nubi fumogene irrespirabili". L’ICMESA respinse le accuse, limitò il tutto a un solo incendio scoppiato per motivi ignoti, spento in meno di un’ora e assicurò il sindaco che avrebbe adottato ogni precauzione per evitare il ripetersi di simili inconvenienti.
L’anno dopo, nel 1963, dopo  nuovo incendio nello stesso deposito, che era tra l’altro adiacente la ferrovia, il sindaco di Meda sollecitò nuovamente l’ICMESA a non abbandonare e bruciare rifiuti su quel terreno poiché essi andavano "distrutti con procedimenti tali da salvaguardare l´incolumità pubblica o privata". Nuovamente l’ICMESA rigettò ogni responsabilità incolpando dell’incendio alcuni pastori, assicurò che avrebbe provveduto a ricoprire l’area con terreno di risulta e lo recintò.
Nel 1965 per l’inquinamento delle acque del torrente Tarò che le analisi dimostrarono "tossiche ad alta tossicità" venne imposto un rifacimento dell’impianto di depurazione delle acque, ma un successivo controllo dimostrò che le modifiche apportate erano insoddisfacenti.
Nel 1969, a fronte di una nuova relazione del Laboratorio di igiene e profilassi della Provincia in cui si evidenziava nell’ICMESA "una notevole grave sorgente per l´inquinamento", l´ufficiale sanitario chiese al sindaco di Meda di emettere un´ordinanza per imporre all´azienda "l´adozione di provvedimenti efficaci, stabili e continuativi, atti a rimuovere (o almeno a ridurre al minimo tollerabile) i molteplici inconvenienti constatati".
Nel 1974 il direttore tecnico dell´ICMESA, Herwig Von Zwehl, fu denunciato per "avere con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso corroso ed adulterato acque sotterranee destinate alla alimentazione prima che le stesse fossero attinte, rendendole pericolose per la salute pubblica, tramite lo scarico di fanghi in una pozza perdente" ma fu assolto nel giugno del 1976 per "insufficienza di prova".
La cronaca di una tragedia annunciata
Il 10 Luglio 1976 cedeva la valvola del reattore A101 del settore B della ditta ICMESA. Nel reattore si era formato anche triclorofenolo, che sopra i 156 gradi Celsius diventa 2,3,7,8-tetracloro-dibenzodiossina (TCDD), ovvero diossina, una sostanza chimica estremamente tossica.  Con l’esplosione si liberò nell’aria una quantità mai esattamente quantificata di diossina, nell’ordine variabile a seconda delle differenti stime da qualche ettogrammo fino ad alcuni chilogrammi, che fu trasportata dal vento principalmente verso il comune di Seveso, ma anche a di quelli di Meda, Desio e Cesano Maderno.
L´11 luglio 1976 il sindaco di Seveso, Francesco Rocca ricevette una visita di due tecnici dell´ICMESA andati a riferirgli di un incidente successo il 10 luglio all´interno della fabbrica. Finito il turno alle sei del mattino del sabato e messi gli impianti in raffreddamento per il fine settimana, una inspiegabile reazione chimica esotermica incontrollata per cause ignote aveva provocato un aumento della temperatura e della pressione tali da fare saltare la valvola di sicurezza del reattore A101. Nel colloquio viene citata la produzione di triclorofenolo come composto intermedio impiegato anche nella fabbricazione di diserbanti. Lo stesso giorno Jörg Sambeth, direttore tecnico della Givaudan di Ginevra ipotizza che tra le sostanze sprigionatesi dall’impianto possa esserci diossina, ma non fornì alcuna comunicazione in merito alle autorità italiane.
Il 12 luglio 1976 il direttore dell’ICMESA scrisse all´ufficiale sanitario supplente: “Sabato 10 luglio 76 alle ore 12.40 ca. si è verificato all´interno del nostro Stabilimento un incidente […] Nel reattore si trovavano le materie seguenti: tetraclorobenzolo, etilenglicole e soda caustica che portano alla formazione di triclorofenolo grezzo […] Non essendo in grado di valutare le sostanze trascinate da questi vapori ed il loro esatto effetto. Il sindaco di Meda intervenne presso cli abitanti delle zone vicine alla fabbrica per impedire il consumo di eventuali prodotti d´orto, essendogli stato riferito che il prodotto finito era anche impiegato in sostanze erbicide. “Per il momento abbiamo sospeso questa lavorazione, concentrando le nostre ricerche nella spiegazione di quanto accaduto, per evitare casi analoghi nel futuro”.
Intanto inspiegabilmente cominciano a morire polli e conigli, gli alberi incominciano a perdere le foglie. Dopo cominceranno i primi malori tra le persone.
La certezza della fuoriuscita di TCDD fu confermata il 14 luglio dalle analisi compiute dalla Givaudan a Zurigo su materiale prelevato nell´area circostante l´ICMESA, ma sia i responsabili dell´ICMESA che quelli della Givaudan non dettero alcuna comunicazione in merito a questo alle autorità italiane.
Giovedì 15 luglio l’ufficiale sanitario supplente accertando numerosi casi di intossicazione tra la popolazione raccomandò alle Autorità di
Delimitare la zona con paletti recanti come testo la seguente dicitura: "Comuni di Seveso e Meda. Attenzione. Zona infestata da sostanze tossiche. Divieto toccare o ingerire prodotti ortofrutticoli, evitando contatti con vegetazione, terra ed erbe in genere".
Avvisare, mediante manifesto la popolazione di non toccare assolutamente né ortaggi, né terra, né erba, né animali della zona delimitata e di mantenere la più scrupolosa igiene delle mani e dei vestiti, usando l´acqua come migliore detergente.
In attesa di ulteriori comunicazioni "da parte dei laboratori della ditta ICMESA", su come agire e sulle eventuali norme di profilassi da prescrivere, si riservava di ordinare l´evacuazione della zona interessata. I sindaci di Meda e Seveso dichiarano la zona adiacente l’impianto “Zona infestata da sostanze tossiche”.
Sabato 17 luglio 1976 uno striminzito articolo pubblicato sulle pagine di cronaca del Corriere della Sera informava per la prima volta l’opinione pubblica in modo circostanziato di ciò era avvenuto il 10 Luglio nel reparto B dell’ICMESA di Meda. Il caso diventa nazionale.
Il 18 luglio il sindaco di Meda ordinò la chiusura a scopo cautelativo dell’ICMESA, la cui direzione continuò a sostenere la non pericolosità dello svolgimento dell´attività lavorativa all’interno dell’impianto.
Il 19 luglio 1976 l´ICMESA e la Givaudan dichiararono ufficialmente la presenza di diossina tra le sostanze altamente tossiche sprigionatesi, ma soltanto il 21 luglio 1976 il direttore del Laboratorio provinciale di igiene e profilassi e l´ufficiale sanitario di Seveso confermarono al sindaco di Seveso la presenza di diossina nella nube tossica.
Le prime ammissioni sulla gravità dell’accaduto dell’ICMESA sono datate 23 Luglio. "Nell´intenzione di evitare tutte le possibilità di contatto" e di […] "consentire l´esecuzione dei programmi di decontaminazione” l’ICMESA proponeva "l´evacuazione temporanea della zona interessata e delimitata sulla planimetria allegata (punti di misura rossi e blu)" fino chè non fossero emersi elementi che potessero permettere "senza alcun ragionevole dubbio la reintegrazione delle abitazioni".
Il comunicato del 24 Luglio
Cari Cittadini, l´esplosione all´ICMESA ha prodotto e diffuso nell´aria una sostanza pericolosa che si chiama TETRACLORODIBENZODIOXINA. E´ risultata particolarmente colpita la zona compresa tra le vie Certosa e Vignazzola (MEDA) - C. Porta - De Amicis - Fogazzaro - T. Grossi (SEVESO) che deve essere bonificata. Per poterlo fare, senza creare pericoli per la salute della popolazione che vi risiede, è necessario sfollare temporaneamente le case, le fabbriche, i campi. La durata di questo provvedimento, che sarà attuato lunedì 26 c.m., sarà strettamente limitata al periodo necessario per la bonifica. Il Comune, con la collaborazione della Provincia, della Regione e dello Stato, ha organizzato una serie di servizi tra i quali l´ospitalità gratuita in un albergo. I bambini fino ai 14 anni potranno usufruire di un soggiorno vacanza presso l´istituto di CANNOBBIO sul Lago Maggiore; per il trasferimento rimangono valide le disposizioni già date dai rappresentanti del Comune (il ritrovo è fissato a Seveso in Via Adua lunedì mattina alle ore 8). Potrete in ogni momento rivolgerVi in Comune dove funziona anche oggi, domenica 25 LUGLIO un apposito servizio fino alle ore 18. Potete portare con Voi gli indumenti necessari, che dovrete però scegliere fra quelli che non erano esposti all´aria il giorno 10 LUGLIO alle ore 12.40 quando è successo l´incidente e che non siano stati usati successivamente. L´Amministrazione Comunale ha disposto di versare ad ogni capo-famiglia la somma di L. 100.000.= e di L. 50.000.= per ogni familiare a carico. La zona verrà recintata e tenuta sotto controllo dalle autorità sanitarie e nella terra saranno avviate immediatamente le operazioni di bonifica. La sorveglianza per evitare furti sarà svolta dalle forze dell´ordine. Dalla stessa zona non potranno essere portati fuori oggetti di casa, utensili di vario genere ecc. Dovranno anche essere lasciati in zona gli animali da cortile, i cani ecc. all´alimentazione dei quali provvederanno i servizi veterinari pubblici. Ogni abitante di questa zona deve sottoporsi immediatamente a visita sanitaria recandosi presso l´Ambulatorio aperto appositamente presso le Scuole Medie di Via A. De Gasperi a Seveso. Qualora vi allontaniate dalla Vostra casa per viaggi o vacanze siete pregati di passare prima presso l´Ambulatorio per la visita e per avere le indicazioni mediche necessarie. Per qualsiasi esigenza potete rivolgerVi presso l´Ufficio Sanitario istituito presso le Scuole Medie di Via De Gasperi in Seveso oppure presso il Comune che resta a Vostra totale disposizione.
Nasce la zona A, B e la zona di rispetto e il 26 Luglio iniziano le evacuazioni. Cavalli di frisia, filo spinato, militari dell’esercito recintavano ed evacuavano progressivamente porzioni sempre più grandi di Seveso. Seguiranno forzature dei blocchi, rioccupazioni delle case, blocchi stradali, un processo interminabile, speculazioni edilizie, la bonifica. Dal 1983 sulla quella che fu la zona A, dove sorgeva l’ICMESA  c’è un parco, il Parco delle Querce.
Le conseguenze per le persone
Nell'area interessata abitavano circa 100.000 persone che dopo pochi giorni iniziarono a manifestare i primi casi d'intossicazione.
Tra i colpiti molte donne incinte ma soprattutto i bambini, che svilupparono una malattia che fino ad allora quasi sconosciuta, la cloracne, ovvero un’eruzione cutanea pustolosa con possibile estensione all’intera superficie corporea e manifestazioni protratte anche per molti anni, per la quale moltissimi rimasero sfigurati per sempre. Le donne incinte terrorizzate abortivano e le coppie rifiutarono di avere figli.
Da Wikipedia:
Nonostante all'epoca del disastro in Italia l'aborto fosse praticamente vietato, fatte salve alcune deroghe concesse dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 27 del 1975, nelle quali non rientrava comunque il caso delle ipotetiche malformazioni ai feti, il 7 agosto 1976 i due esponenti democristiani l'allora Ministro della sanità Luciano dal Falco e quello della giustizia Francesco Paolo ottenuto il consenso del Presidente del consiglio Giulio Andreotti, autorizzarono aborti terapeutici per le donne della zona che ne avessero fatto richiesta. Aborti vennero praticati presso la clinica Mangiagalli di Milano e presso l'ospedale di Desio.
Uniche voci importanti di dissenso furono Il Giornale di Indro Montanelli che scrisse: «Il rischio è per i bambini, non per la madre: si tratta di aborto eugenetico, e non terapeutico» e il cardinale di Milano, Giovanni Colombo, che disse: «Non uccidete i vostri figli, le famiglie cattoliche sono pronte a prendersi cura di eventuali bambini handicappati». Il dibattito sulla necessità di una regolamentazione dell'aborto attraverso leggi dello stato da anni interessava l'opinione pubblica, acquistando vigore proprio da questo evento e dal dramma che stavano vivendo le donne della zona contaminata. Si arrivò pertanto all'emanazione della Legge 194 del 22 maggio 1978, confermata poi dal referendum del 1981.

Le conseguenze a lungo termine dell’esposizione a diossina sono molto serie, essendo accertato che predisponga fortemente le cellule alla trasformazione neoplastica.
La zona è ancora oggetto di monitoraggio da parte delle autorità sanitarie per valutare gli effetti a lunga scadenza (malformazioni fetali e tumori). Gli ultimi dati disponibili (2003) hanno dimostrato un aumentato rischio di tumori ematologici, del digerente, del sistema respiratorio e di sarcomi, di diabete e patologie tiroidee e del sistema riproduttivo nei maschi.
Lo sapevano tutti
Gli ingegneri chimici e i responsabili dell’ICMESA e de La Roche non potevano non sapere che dal surriscaldamento di quelle sostanze si sarebbe prodotta diossina così come sapevano, perché lo so anche io, che un aumento della temperatura dei reagenti provoca un aumento della velocità di una reazione chimica. Sapevano quindi che avrebbero aumentato la produzione riducendo i tempi di reazione chimica attraverso il surriscaldamento dei reagenti, e precisamente che avrebbero portato i tempi di reazione da 5 ore a 1 con un notevole aumento dei ricavati. I responsabili dell’ICMESA e de La Roche non potevano non sapere, dall’esperienza avuta per altri incidenti occorsi in altri impianti in nazioni diverse dall’Italia degli effetti drammatici della diossina.
I responsabili dell’ICMESA e de La Roche non potevano non sapere che non era presente un abbattitore sul tetto del camino così come non potevano sapere che erano state omesse le più elementari norme di sicurezza per quelle produzioni e che lo stabilimento non avrebbe dovuto trovarsi in un’area così densamente abitata. E non potevano non saperlo perché Jörg Sambeth, il direttore tecnico della Givaudan di Ginevra, colui che ipotizzò immediatamente la presenza della diossina nella nube tossica ma che non avvisò le autorità italiane, e che fu condannato per non avere applicato le norme di sicurezza, aveva chiesto alla Roche 12 milioni di franchi ristrutturare l’ICMESA, che lui aveva definito "in uno stato miserabile".
Perché raccontare Seveso? Per colpa di un limone, questo, raccolto vicino alla discarica Sari, Terzigno, Napoli. Potrebbe non essere stato il liquame di una discarica penetrato in una falda ad avere prodotto il caos vegetale che chiunque di noi può cogliere al volo, ma è sicuramente un qualcosa su cui riflettere, riandando con la mente a Seveso. Lì la gente aveva protestato, bloccato strade, presentato tramite i rappresentanti in Comune segnalazioni e denunce. Non servì a nulla.
Dire che un impianto, una fabbrica, sono sicuri è una enorme responsabilità che non può e non deve essere ignorata in virtù di ragioni clientelari quando non apertamente criminali, perché disastri ambientali possono avere conseguenze terribili in termini di vite umane e di salute. Non si possono minimizzare i problemi e bisogna mettere in atto tutte le forme possibili di tutela e i primi osservatori sono i cittadini che risiedono in quelle aree, perché loro conoscono il microterritorio e sanno cogliere i segnali così come si cogle un limone. Quando leggiamo che la popolazione protesta per la presenza di esalazioni, quando la gente teme che una discarica non corrisponda a criteri di tutela della salute pubblica, quando vediamo limoni attorcigliarsi in forme che in natura non abbiamo mai trovato, proviamo anche a pensare al nostro passato e alle suggestioni che evoca. Seveso fu un dolo ampiamente annunciato, e non è affatto detto che un domani non debba ripresentarsi ancora.
In seguito all'incidente di Seveso ed altri dovuti all'incuria dell'uomo in proposito di sistemi di sicurezza di impianti chimici e consimili, la Comunità Europea emanò nel 1982 la direttiva n° 82/501 relativa ai rischi di incidenti rilevanti connessi con determinate attività industriali. La direttiva prevedeva determinati obblighi amministrativi e sostanziali riguardo all'atteggiamento da seguire nella gestione dell'esercizio di attività ritenute pericolose sulla base della tipologia di pericolosità dei materiali, e del quantitativo detenuto.
La direttiva viene recepita dall'Italia 6 anni più tardi con il DPR 175/88.


http://www.iltuoforum.net/forum/l-argonauta-f35/l-argonauta-nr-8-il-limone-che-non-e-un-limone-seveso-e-l-odore-della-diossina-fulvia-t3462.html