martedì 27 settembre 2011

Il limone che non è un limone, Seveso e l’odore della diossina



Sabato 10 luglio 1976 alle 8 e 50 il sostituto Procuratore della Repubblica Vittorio Occorsio viene assassinato a Roma dal gruppo eversivo di estrema destra 'Ordine Nuovo', e precisamente da Pierluigi Concutelli, per avere istruito agli inizi degli anni Settanta i processi contro 'Avanguardia Nazionale' e 'Ordine Nuovo'.
Lo stesso giorno più o meno verso mezzogiorno e mezzo cede per surriscaldamento fino a 500°C la valvola di sicurezza del reattore A101 del settore B della ditta ICMESA, presente dal 1947 nel territorio del comune di Meda, adiacente al comune di Seveso, in provincia di Milano allora e di Monza adesso. Durante l´incidente fuoriuscirono nell’aria circa 400 kg di prodotti chimici che comprendevano triclorofenolo, soda caustica e diossina con un penetrante odore di uova marce e zolfo.
La ICMESA (Industrie Chimiche Meda Società Azionaria) apparteneva inizialmente del gruppo svizzero Givaudan & C. di Vernier S.A. di Ginevra, poi acquistata nel 1963 dal gruppo Hoffmann-La Roche A.G. di Basilea. La fabbrica produceva sostanze chimiche intermedie utilizzate per la produzione di profumi, aromatizzanti, cosmetici e prodotti farmaceutici ed era stata ribattezzata fin dal 1948 dai residenti della zona “La fabbrica dei profumi” per le esalazioni maleodoranti che provenivano dall’impianto, i quali avevano più volte protestato per l’inquinamento del fiume e dell’aria, senza risultati.
I precedenti
Nel 1953, l´ufficiale veterinario del Comune di Seveso si recò per chiarimenti all’ICMESA dopo avere accertato un´intossicazione di pecore a causa degli scarichi della fabbrica ma non gli furono fornite informazioni. Due mesi dopo morirono 13 pecore che si erano abbeverate nelle acque del torrente Certesa  immediatamente a valle dello scarico delle acque di scarico dell’ICMESA ed egli chiese, dopo opportune analisi con riscontro nelle acque di acetati salicilati ed alcoli, che la fabbrica fosse classificata come “insalubre”. L’amministratore delegato rigettò la responsabilità della morte delle pecore, si impegnò a migliorare la situazione derivante dall’emissione di cattivi odori, sperando che venisse superata "quell´atmosfera di diffidenza e di critica" che non trovava nessuna ragione nei fatti "visti obbiettivamente e serenamente", considerando "assurde" le accuse mosse a un´industria che lavorava "onestamente ed in condizione di ambiente e di sanità fra le più moderne d´Italia".
Nel 1962 il sindaco di Meda invitò l’ICMESA ad adottare misure cautelari nel bruciare rifiuti, date le lamentele della popolazione che segnalavano come molto spesso in deposito di scorie a nord dello stabilimento di sviluppassero incendi di materiali di rifiuto che causavano "nubi fumogene irrespirabili". L’ICMESA respinse le accuse, limitò il tutto a un solo incendio scoppiato per motivi ignoti, spento in meno di un’ora e assicurò il sindaco che avrebbe adottato ogni precauzione per evitare il ripetersi di simili inconvenienti.
L’anno dopo, nel 1963, dopo  nuovo incendio nello stesso deposito, che era tra l’altro adiacente la ferrovia, il sindaco di Meda sollecitò nuovamente l’ICMESA a non abbandonare e bruciare rifiuti su quel terreno poiché essi andavano "distrutti con procedimenti tali da salvaguardare l´incolumità pubblica o privata". Nuovamente l’ICMESA rigettò ogni responsabilità incolpando dell’incendio alcuni pastori, assicurò che avrebbe provveduto a ricoprire l’area con terreno di risulta e lo recintò.
Nel 1965 per l’inquinamento delle acque del torrente Tarò che le analisi dimostrarono "tossiche ad alta tossicità" venne imposto un rifacimento dell’impianto di depurazione delle acque, ma un successivo controllo dimostrò che le modifiche apportate erano insoddisfacenti.
Nel 1969, a fronte di una nuova relazione del Laboratorio di igiene e profilassi della Provincia in cui si evidenziava nell’ICMESA "una notevole grave sorgente per l´inquinamento", l´ufficiale sanitario chiese al sindaco di Meda di emettere un´ordinanza per imporre all´azienda "l´adozione di provvedimenti efficaci, stabili e continuativi, atti a rimuovere (o almeno a ridurre al minimo tollerabile) i molteplici inconvenienti constatati".
Nel 1974 il direttore tecnico dell´ICMESA, Herwig Von Zwehl, fu denunciato per "avere con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso corroso ed adulterato acque sotterranee destinate alla alimentazione prima che le stesse fossero attinte, rendendole pericolose per la salute pubblica, tramite lo scarico di fanghi in una pozza perdente" ma fu assolto nel giugno del 1976 per "insufficienza di prova".
La cronaca di una tragedia annunciata
Il 10 Luglio 1976 cedeva la valvola del reattore A101 del settore B della ditta ICMESA. Nel reattore si era formato anche triclorofenolo, che sopra i 156 gradi Celsius diventa 2,3,7,8-tetracloro-dibenzodiossina (TCDD), ovvero diossina, una sostanza chimica estremamente tossica.  Con l’esplosione si liberò nell’aria una quantità mai esattamente quantificata di diossina, nell’ordine variabile a seconda delle differenti stime da qualche ettogrammo fino ad alcuni chilogrammi, che fu trasportata dal vento principalmente verso il comune di Seveso, ma anche a di quelli di Meda, Desio e Cesano Maderno.
L´11 luglio 1976 il sindaco di Seveso, Francesco Rocca ricevette una visita di due tecnici dell´ICMESA andati a riferirgli di un incidente successo il 10 luglio all´interno della fabbrica. Finito il turno alle sei del mattino del sabato e messi gli impianti in raffreddamento per il fine settimana, una inspiegabile reazione chimica esotermica incontrollata per cause ignote aveva provocato un aumento della temperatura e della pressione tali da fare saltare la valvola di sicurezza del reattore A101. Nel colloquio viene citata la produzione di triclorofenolo come composto intermedio impiegato anche nella fabbricazione di diserbanti. Lo stesso giorno Jörg Sambeth, direttore tecnico della Givaudan di Ginevra ipotizza che tra le sostanze sprigionatesi dall’impianto possa esserci diossina, ma non fornì alcuna comunicazione in merito alle autorità italiane.
Il 12 luglio 1976 il direttore dell’ICMESA scrisse all´ufficiale sanitario supplente: “Sabato 10 luglio 76 alle ore 12.40 ca. si è verificato all´interno del nostro Stabilimento un incidente […] Nel reattore si trovavano le materie seguenti: tetraclorobenzolo, etilenglicole e soda caustica che portano alla formazione di triclorofenolo grezzo […] Non essendo in grado di valutare le sostanze trascinate da questi vapori ed il loro esatto effetto. Il sindaco di Meda intervenne presso cli abitanti delle zone vicine alla fabbrica per impedire il consumo di eventuali prodotti d´orto, essendogli stato riferito che il prodotto finito era anche impiegato in sostanze erbicide. “Per il momento abbiamo sospeso questa lavorazione, concentrando le nostre ricerche nella spiegazione di quanto accaduto, per evitare casi analoghi nel futuro”.
Intanto inspiegabilmente cominciano a morire polli e conigli, gli alberi incominciano a perdere le foglie. Dopo cominceranno i primi malori tra le persone.
La certezza della fuoriuscita di TCDD fu confermata il 14 luglio dalle analisi compiute dalla Givaudan a Zurigo su materiale prelevato nell´area circostante l´ICMESA, ma sia i responsabili dell´ICMESA che quelli della Givaudan non dettero alcuna comunicazione in merito a questo alle autorità italiane.
Giovedì 15 luglio l’ufficiale sanitario supplente accertando numerosi casi di intossicazione tra la popolazione raccomandò alle Autorità di
Delimitare la zona con paletti recanti come testo la seguente dicitura: "Comuni di Seveso e Meda. Attenzione. Zona infestata da sostanze tossiche. Divieto toccare o ingerire prodotti ortofrutticoli, evitando contatti con vegetazione, terra ed erbe in genere".
Avvisare, mediante manifesto la popolazione di non toccare assolutamente né ortaggi, né terra, né erba, né animali della zona delimitata e di mantenere la più scrupolosa igiene delle mani e dei vestiti, usando l´acqua come migliore detergente.
In attesa di ulteriori comunicazioni "da parte dei laboratori della ditta ICMESA", su come agire e sulle eventuali norme di profilassi da prescrivere, si riservava di ordinare l´evacuazione della zona interessata. I sindaci di Meda e Seveso dichiarano la zona adiacente l’impianto “Zona infestata da sostanze tossiche”.
Sabato 17 luglio 1976 uno striminzito articolo pubblicato sulle pagine di cronaca del Corriere della Sera informava per la prima volta l’opinione pubblica in modo circostanziato di ciò era avvenuto il 10 Luglio nel reparto B dell’ICMESA di Meda. Il caso diventa nazionale.
Il 18 luglio il sindaco di Meda ordinò la chiusura a scopo cautelativo dell’ICMESA, la cui direzione continuò a sostenere la non pericolosità dello svolgimento dell´attività lavorativa all’interno dell’impianto.
Il 19 luglio 1976 l´ICMESA e la Givaudan dichiararono ufficialmente la presenza di diossina tra le sostanze altamente tossiche sprigionatesi, ma soltanto il 21 luglio 1976 il direttore del Laboratorio provinciale di igiene e profilassi e l´ufficiale sanitario di Seveso confermarono al sindaco di Seveso la presenza di diossina nella nube tossica.
Le prime ammissioni sulla gravità dell’accaduto dell’ICMESA sono datate 23 Luglio. "Nell´intenzione di evitare tutte le possibilità di contatto" e di […] "consentire l´esecuzione dei programmi di decontaminazione” l’ICMESA proponeva "l´evacuazione temporanea della zona interessata e delimitata sulla planimetria allegata (punti di misura rossi e blu)" fino chè non fossero emersi elementi che potessero permettere "senza alcun ragionevole dubbio la reintegrazione delle abitazioni".
Il comunicato del 24 Luglio
Cari Cittadini, l´esplosione all´ICMESA ha prodotto e diffuso nell´aria una sostanza pericolosa che si chiama TETRACLORODIBENZODIOXINA. E´ risultata particolarmente colpita la zona compresa tra le vie Certosa e Vignazzola (MEDA) - C. Porta - De Amicis - Fogazzaro - T. Grossi (SEVESO) che deve essere bonificata. Per poterlo fare, senza creare pericoli per la salute della popolazione che vi risiede, è necessario sfollare temporaneamente le case, le fabbriche, i campi. La durata di questo provvedimento, che sarà attuato lunedì 26 c.m., sarà strettamente limitata al periodo necessario per la bonifica. Il Comune, con la collaborazione della Provincia, della Regione e dello Stato, ha organizzato una serie di servizi tra i quali l´ospitalità gratuita in un albergo. I bambini fino ai 14 anni potranno usufruire di un soggiorno vacanza presso l´istituto di CANNOBBIO sul Lago Maggiore; per il trasferimento rimangono valide le disposizioni già date dai rappresentanti del Comune (il ritrovo è fissato a Seveso in Via Adua lunedì mattina alle ore 8). Potrete in ogni momento rivolgerVi in Comune dove funziona anche oggi, domenica 25 LUGLIO un apposito servizio fino alle ore 18. Potete portare con Voi gli indumenti necessari, che dovrete però scegliere fra quelli che non erano esposti all´aria il giorno 10 LUGLIO alle ore 12.40 quando è successo l´incidente e che non siano stati usati successivamente. L´Amministrazione Comunale ha disposto di versare ad ogni capo-famiglia la somma di L. 100.000.= e di L. 50.000.= per ogni familiare a carico. La zona verrà recintata e tenuta sotto controllo dalle autorità sanitarie e nella terra saranno avviate immediatamente le operazioni di bonifica. La sorveglianza per evitare furti sarà svolta dalle forze dell´ordine. Dalla stessa zona non potranno essere portati fuori oggetti di casa, utensili di vario genere ecc. Dovranno anche essere lasciati in zona gli animali da cortile, i cani ecc. all´alimentazione dei quali provvederanno i servizi veterinari pubblici. Ogni abitante di questa zona deve sottoporsi immediatamente a visita sanitaria recandosi presso l´Ambulatorio aperto appositamente presso le Scuole Medie di Via A. De Gasperi a Seveso. Qualora vi allontaniate dalla Vostra casa per viaggi o vacanze siete pregati di passare prima presso l´Ambulatorio per la visita e per avere le indicazioni mediche necessarie. Per qualsiasi esigenza potete rivolgerVi presso l´Ufficio Sanitario istituito presso le Scuole Medie di Via De Gasperi in Seveso oppure presso il Comune che resta a Vostra totale disposizione.
Nasce la zona A, B e la zona di rispetto e il 26 Luglio iniziano le evacuazioni. Cavalli di frisia, filo spinato, militari dell’esercito recintavano ed evacuavano progressivamente porzioni sempre più grandi di Seveso. Seguiranno forzature dei blocchi, rioccupazioni delle case, blocchi stradali, un processo interminabile, speculazioni edilizie, la bonifica. Dal 1983 sulla quella che fu la zona A, dove sorgeva l’ICMESA  c’è un parco, il Parco delle Querce.
Le conseguenze per le persone
Nell'area interessata abitavano circa 100.000 persone che dopo pochi giorni iniziarono a manifestare i primi casi d'intossicazione.
Tra i colpiti molte donne incinte ma soprattutto i bambini, che svilupparono una malattia che fino ad allora quasi sconosciuta, la cloracne, ovvero un’eruzione cutanea pustolosa con possibile estensione all’intera superficie corporea e manifestazioni protratte anche per molti anni, per la quale moltissimi rimasero sfigurati per sempre. Le donne incinte terrorizzate abortivano e le coppie rifiutarono di avere figli.
Da Wikipedia:
Nonostante all'epoca del disastro in Italia l'aborto fosse praticamente vietato, fatte salve alcune deroghe concesse dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 27 del 1975, nelle quali non rientrava comunque il caso delle ipotetiche malformazioni ai feti, il 7 agosto 1976 i due esponenti democristiani l'allora Ministro della sanità Luciano dal Falco e quello della giustizia Francesco Paolo ottenuto il consenso del Presidente del consiglio Giulio Andreotti, autorizzarono aborti terapeutici per le donne della zona che ne avessero fatto richiesta. Aborti vennero praticati presso la clinica Mangiagalli di Milano e presso l'ospedale di Desio.
Uniche voci importanti di dissenso furono Il Giornale di Indro Montanelli che scrisse: «Il rischio è per i bambini, non per la madre: si tratta di aborto eugenetico, e non terapeutico» e il cardinale di Milano, Giovanni Colombo, che disse: «Non uccidete i vostri figli, le famiglie cattoliche sono pronte a prendersi cura di eventuali bambini handicappati». Il dibattito sulla necessità di una regolamentazione dell'aborto attraverso leggi dello stato da anni interessava l'opinione pubblica, acquistando vigore proprio da questo evento e dal dramma che stavano vivendo le donne della zona contaminata. Si arrivò pertanto all'emanazione della Legge 194 del 22 maggio 1978, confermata poi dal referendum del 1981.

Le conseguenze a lungo termine dell’esposizione a diossina sono molto serie, essendo accertato che predisponga fortemente le cellule alla trasformazione neoplastica.
La zona è ancora oggetto di monitoraggio da parte delle autorità sanitarie per valutare gli effetti a lunga scadenza (malformazioni fetali e tumori). Gli ultimi dati disponibili (2003) hanno dimostrato un aumentato rischio di tumori ematologici, del digerente, del sistema respiratorio e di sarcomi, di diabete e patologie tiroidee e del sistema riproduttivo nei maschi.
Lo sapevano tutti
Gli ingegneri chimici e i responsabili dell’ICMESA e de La Roche non potevano non sapere che dal surriscaldamento di quelle sostanze si sarebbe prodotta diossina così come sapevano, perché lo so anche io, che un aumento della temperatura dei reagenti provoca un aumento della velocità di una reazione chimica. Sapevano quindi che avrebbero aumentato la produzione riducendo i tempi di reazione chimica attraverso il surriscaldamento dei reagenti, e precisamente che avrebbero portato i tempi di reazione da 5 ore a 1 con un notevole aumento dei ricavati. I responsabili dell’ICMESA e de La Roche non potevano non sapere, dall’esperienza avuta per altri incidenti occorsi in altri impianti in nazioni diverse dall’Italia degli effetti drammatici della diossina.
I responsabili dell’ICMESA e de La Roche non potevano non sapere che non era presente un abbattitore sul tetto del camino così come non potevano sapere che erano state omesse le più elementari norme di sicurezza per quelle produzioni e che lo stabilimento non avrebbe dovuto trovarsi in un’area così densamente abitata. E non potevano non saperlo perché Jörg Sambeth, il direttore tecnico della Givaudan di Ginevra, colui che ipotizzò immediatamente la presenza della diossina nella nube tossica ma che non avvisò le autorità italiane, e che fu condannato per non avere applicato le norme di sicurezza, aveva chiesto alla Roche 12 milioni di franchi ristrutturare l’ICMESA, che lui aveva definito "in uno stato miserabile".
Perché raccontare Seveso? Per colpa di un limone, questo, raccolto vicino alla discarica Sari, Terzigno, Napoli. Potrebbe non essere stato il liquame di una discarica penetrato in una falda ad avere prodotto il caos vegetale che chiunque di noi può cogliere al volo, ma è sicuramente un qualcosa su cui riflettere, riandando con la mente a Seveso. Lì la gente aveva protestato, bloccato strade, presentato tramite i rappresentanti in Comune segnalazioni e denunce. Non servì a nulla.
Dire che un impianto, una fabbrica, sono sicuri è una enorme responsabilità che non può e non deve essere ignorata in virtù di ragioni clientelari quando non apertamente criminali, perché disastri ambientali possono avere conseguenze terribili in termini di vite umane e di salute. Non si possono minimizzare i problemi e bisogna mettere in atto tutte le forme possibili di tutela e i primi osservatori sono i cittadini che risiedono in quelle aree, perché loro conoscono il microterritorio e sanno cogliere i segnali così come si cogle un limone. Quando leggiamo che la popolazione protesta per la presenza di esalazioni, quando la gente teme che una discarica non corrisponda a criteri di tutela della salute pubblica, quando vediamo limoni attorcigliarsi in forme che in natura non abbiamo mai trovato, proviamo anche a pensare al nostro passato e alle suggestioni che evoca. Seveso fu un dolo ampiamente annunciato, e non è affatto detto che un domani non debba ripresentarsi ancora.
In seguito all'incidente di Seveso ed altri dovuti all'incuria dell'uomo in proposito di sistemi di sicurezza di impianti chimici e consimili, la Comunità Europea emanò nel 1982 la direttiva n° 82/501 relativa ai rischi di incidenti rilevanti connessi con determinate attività industriali. La direttiva prevedeva determinati obblighi amministrativi e sostanziali riguardo all'atteggiamento da seguire nella gestione dell'esercizio di attività ritenute pericolose sulla base della tipologia di pericolosità dei materiali, e del quantitativo detenuto.
La direttiva viene recepita dall'Italia 6 anni più tardi con il DPR 175/88.


http://www.iltuoforum.net/forum/l-argonauta-f35/l-argonauta-nr-8-il-limone-che-non-e-un-limone-seveso-e-l-odore-della-diossina-fulvia-t3462.html

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