martedì 27 settembre 2011

La finestra sul cortile


Nessuno di noi vorrebbe sapere la figlia brutalmente assassinata a 15 anni. Non ho mai potuto nemmeno per un attimo pensare ad altro, sentendo storie come quella di Sarah, dove, dove, dove mai potessero trovare la forza le madri, i padri, per alzarsi semplicemente e vivere. Che i loro figli si chiamassero Sarah, Chiara o Tommaso, o come vi pare, tutto quello che sento è un brivido di gelo pensando a questi genitori che proprio come me avevano fatto sogni e progetti, e da madre guardo i miei figli per rassicurami che siano lì, loro, si, loro sono lì.
Eppure la cattiveria degli uomini è tale e tanta che un figlio te lo possono strappare via da sotto le mani per farti trovare (forse) un cadavere, sepolto sotto mezzo metro di ghiaia e foglie secche, o in un pozzo, lasciando come ultimo immenso dolore il terribile incubo della violenza e della paura subite per morire, minuti che una madre e un padre non possono fare a meno di immaginare, stracciandosi l’anima.
Oltre allo strazio della perdita e dello strazio ulteriore di sapere coinvolte persone delle quali questi genitori si fidavano, si aggiunge la gogna mediatica prima (ricordo il padre di Tommy, così come la mamma di Sarah messi sotto il microscopio, troppo freddi, che nasconderanno, saranno stati loro, saranno coinvolti, e perché non urlano e non piangono, sanno qualcosa e non lo dicono) in virtù dell’audience e della tiratura, e lo sciacallaggio del dolore poi. E quando, come spesso accade, si ritrova un cadavere e un presunto assassino, succede che le foto del corpo martoriato di un figlio finiscano su un socialnetwork, che ore di registrazione siano proposte alldaylong per permetterci di spiare mimica, discorsi, chiederci se l’assassino è lui, e i “l’avevo detto io!”, e la casa, la casa dove è successo, da vedere, da fotografare, e i Garlasco, Avetrana, paesi mai sentiti nominare che diventano il cortile di casa propria.
Siamo quelli della finestra sul cortile, i Poirot del momento, esperti più del Dott. Quincy, del Dottor House, a noi CIS ci fa un baffo, tanto sappiamo tutto di DNA amplificato, sappiano di tracce almeno quanto cacciatori di frodo, possiamo trovare il colpevole, vedere il contesto sociale, immaginale le cose turpi che sono successe, seduti nelle nostre cucine coi nostri figli di fianco, si certo, perché loro sono lì. Per fortuna non sono loro.
La nostra curiosità morbosa ci porta a volere sapere di tutto di più, ed ecco che dobbiamo sentire il parere del criminologo, del legale, della vicina di casa, e meno male che ci sono quelle decine e decine di persone a correre con le loro belle Canon e con le loro cineprese, ad assaltare macchine, eroicamente, perché lo fanno per noi, perché noi dobbiamo essere informati.
In fin dei conti che ci frega se a quella mamma hanno ammazzato una figlia, se non può andare al cimitero senza trovare un rompicoglioni col microfono in mano, per potersi piangere sua figlia, suo figlio, in santa pace, noi dobbiamo scrutare e sapere, piccoli pettegoli incapaci di tenerci alla larga da un dramma oramai tragicamente consumato, in cui tutto quello che resta da sapere è semplicemente chi e quanti hanno fatto scempio di una bambina, o di un bambino, e se ci pensi bene il perché non ha nessuna importanza, visto che al mondo non c’è nessuno motivo per ammazzare un bambino, è solo crudeltà, o follia.
Noi dobbiamo sapere, e per questo agiscono in nome e per conto nostro gli avvoltoi dell’informazione, che circondano macchine spintonando vecchie donne o ragazzini, avvoltoi loro e sciacalli noi.
Un giorno ci saremo dimenticati di tutto questo, perché noi possiamo permettercelo. I nostri figli sono a casa, qua di fianco a noi, e se si ha un piccolo moto di paura basta allungare una mano per trovare il caldo contatto che ci riscalda l’anima. Loro no, non dimenticheranno. Dimenticheresti tu che ti hanno ammazzato un figlio?
Non so se nessuno tra voi sia mai andato a fare le condoglianze a un padre o a una madre che avevano perso un bambino. Io l’ho fatto. Non è come al TG, posso garantirlo. Anzi posso dire che sono stati sempre i genitori di questi bambini a fare coraggio agli altri, con piccole frasi e tra tutte ricordo “Non devi piangere, noi siamo felici che Dio ce l’abbia lasciata almeno un po’”.
No, non è come nei film, e proprio perché non è un film ma la vita di un altro, si dovrebbe avere il coraggio, il buon gusto, di non prestarsi a questo scempio. Si legge la notizia, una, se si vuole, un aggiornamento. Ma si lasci almeno alle persone un briciolo di decoro, un briciolo di pace, soprattutto a coloro che hanno perso tanto. Non posso tollerare il giornalista che chiede alla mamma “Lei perdona gli assassini di suo figlio?” come ho sentito chiedere, e quanto avrei voluto chiedere a questo fenomeno “Saresti in grado di farlo, tu?”.
Aveva ragione quella mano che sul muro di Avetrana ha scritto “Non siamo a Hollywood”. Si, non è Hollywood, non ci sono star, non è un film, scena, finzione. E’ tutto vero, tutto troppo vero, ed è già tutto successo. Non vendiamo la nostra umanità alla ricchezza di un altro, se li pubblicizzi coi telefilm i pannolini e l’acqua minerale, piccoli consigli per gli acquisti tra angeli andati e persi per sempre, ci deve essere un altro modo, diciamolo che non siamo sciacalli, siamo esseri umani, diciamolo forte che questo circo non è per colpa nostra, siamo noi a scegliere che cosa va in onda e possiamo essere migliori, più umani, e se non sappiamo come fare e come dirlo possiamo staccarci dalla finestra sul cortile, chiudere le tende, spegnere tutto, perché tutto questo non sia in nome nostro, perché non è per fortuna, la nostra vita, ma quella degli altri, ma è la vita di qualcuno non troppo diverso da noi, e non possiamo scordarcelo.
http://www.iltuoforum.net/forum/l-argonauta-f35/l-argonauta-n-7-la-finestra-sul-cortile-fulvia-t3135.html

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